La fretta di fare cassa è cattiva consigliera
Anche se il ministero dell`Economia si è sentito in obbligo di chiarire che il buyback dell`Eni avverrà «con modalità e tempi compatibili con la struttura patrimoniale e finanziaria del gruppo», il meccanismo individuato per mettere sul mercato un altro 3% della compagnia petrolifera italiana, senza che la quota pubblica scenda sotto la soglia di sicurezza del 30%, sta attirando più critiche che consensi. Il mercato sembra spaventato dall`entità di un simile buyback, che comporterebbe l`annullamento del 10% delle azioni di un gigante come Eni. E sul fronte politico anche chi, come Massimo Mucchetti, senatore del Pd e presidente della commissione Industria del Senato, conferma il proprio appoggio al premier Enrico Letta non risparmia critiche soprattutto all`operazione Eni, nel quadro del piano di privatizzazioni appena annunciato dal governo.
Domanda. Senatore Mucchetti, perché questa nuova tornata di privatizzazioni non la convince?
Risposta.
Non capisco la fretta di vendere, visto che gli incassi previsti avranno un impatto infinitesimale sul debito pubblico. Leggo che si vuol destinare metà dei proventi attesi dalle cessioni di partecipazioni pubbliche alla riduzione del debito. Si tratta 5-6 miliardi di euro rispetto a uno stock di oltre 2 mila miliardi. Una cosa irrisoria. A dirla tutta, persino il termine privatizzazioni in alcuni casi è improprio, quando per esempio il Tesoro conserva il controllo oppure lo cede a Cassa Depositi e Prestiti. 
D. In molti però sostengono che questa corsa a vendere sia una mossa obbligata per dare un segnale a Bruxelles.
 R. Perché non valutano le alternative. Forse sarebbe stato meglio adottare le soluzioni proposte dall`Astrid sul pagamento alle imprese dei debiti della pubblica amministrazione. Cercherei di recuperare il più possibile di quella proposta. Più in generale, sono invece molto d`accordo con l`obiettivo che il premier Letta si propone, ossia di ritirare i 50 miliardi di euro versati dall`Italia al Fondo salva-Stati ridefmendo il meccanismo di finanziamento di questo Fondo. Il versamento diretto, che tutti fanno a debito, potrebbe diventare diritto di prelievo quando ce n`è bisogno. D. Che cosa le piace meno del pacchetto Letta? E che cosa invece salva?
R
. Vorrei dire anzitutto che cosa mi convince: le mosse sulle partecipazioni della Cdp, con l`idea di cedere una parte del capitale della Cdp Reti che ha in pancia Terna e domani potrebbe avere anche Snam; la quotazione in borsa di Fincantieri, magari attraverso un`operazione mista che preveda la vendita di una parte della partecipazione e un aumento di capitale. Ecco, queste mi paiono operazioni sensate che tendono a rafforzare le aziende e la stessa Cdp, che potrà trattenere almeno una parte dei proventi. Parimenti trovo ragionevole la cessione, anche totalitaria, della Sace, purché il governo ne garantisca il rischio come avviene in Francia delle imprese.
D. Insisto: che cosa invece non le piace?
R.
La vendita del 3% dell`Eni, preceduta dal buyback. Le azioni Eni oggi pagano dividendi di gran lunga superiori agli interessi passivi che il Tesoro potrebbe risparmiare su quella minuscola percentuale di debito pubblico che verrebbe cancellata con l`incasso di questa ulteriore privatizzazione. Mi sembra discutibile che l`azionista pubblico chieda all`Eni di riacquistare e annullare azioni proprie per il 10% del capitale per salire dall`attuale 30,1 a oltre il 33% e poter così vendere l`eccedenza senza scendere sotto il 30%. D. Ma il buyback sembra l`unico modo per preservare quella soglia.
R.
Capisco che il Tesoro voglia evitare il rischio di scalate ostili e continuare a esprimere un voto determinante, soprattutto ora che i fondi possono votare anche senza avere più il possesso materiale delle azioni il giorno dell`assemblea. Questo è saggio. Ma la strada del buyback non convince. Per Eni riacquistare il 10% del capitale significherebbe spendere almeno 6 miliardi di euro, tre volte il valore di quel 3% che il governo vuole vendere e che oggi porterebbe in cassa intorno a 2 miliardi di euro. Non lo ricordano in molti, ma durante il governo Prodi un`iniziativa del genere venne scongiurata dal cda allora presieduto da Roberto Poli, un valido professionista in prece- denza nominato dal governo Berlusconi. Invece nel 2012, durante il governo Monti, con l`annullamento delle azioni proprie per oltre il 9% del capitale, acquistate un po` per volta negli anni precedenti, il nuovo cda presieduto da Giuseppe Recchi ha posto le premesse per questa operazione.
D. Crede che con questa operazione i vertici dell`Eni acquisteranno meriti in vista delle nomine della prossima primavera?
R.
Questo è esattamente il dubbio che ho espresso sull`Unità.
D. Il Tesoro però ha precisato che non imporrà il buyback e che l`operazione di acquisto delle azioni sarà calibrata in base alla struttura patrimoniale e finanziaria del gruppo.
R.
Vorrei ben vedere. Stiamo parlando di una società quotata con una capitalizzazione di oltre 60 miliardi di euro. Se questo buyback si deve proprio fare, almeno lo si faccia secondo modalità accettabili. Le azioni vanno riacquistate quando si aprono finestre favorevoli sul mercato. Possono volerci molti mesi, perché certamente Eni non può acquistare e annullare il 10% del capitale in un colpo solo e bruciare 6 miliardi di euro. Dovremmo chiederci piuttosto come il gruppo potrebbe altrimenti utilizzare un importo così consistente. Il fatto è che l`acquisto di azioni proprie può trasmettere al mercato l`idea di un gruppo che non trova di meglio che investire sui suoi stessi titoli. Invece quelle risorse andrebbero impiegate per ridurre l`indebitamento, peraltro non più alto, o per finanziare nuove iniziative di crescita, perché se l`Eni smette di crescere è destinato all`irrilevanza.

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