Entriamo subito in medias res e domandiamoci perché l`Unità non riesce, da sempre, a ottenere ricavi tali da pagare i costi. La risposta è semplice, ma solo in prima battuta: il giornale vende troppo poco in edicola e raccoglie troppo poca pubblicità. Un tempo si attribuivano simili difficoltà all`emarginazione del giornale rivoluzionario nella società capitalistica. Da anni, una tale giustificazione non regge.
Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci era stato pensato per informare ed educare un partito di massa, il Pci, con i suoi due milioni di iscritti, e offrire alla leadership comunista una tribuna e un mezzo, all`occorrenza, di contro informazione. Per un partito forte, ma distante dal potere reale dell`economia, l`Unità ha a lungo costimito uno strumento di importanza cruciale, i cui costi, sempre esorbitanti rispetto ai ricavi, rappresentavano a pieno titolo un costo della politica, sempre sopportabile e finanziabile attraverso le risorse procurate dalla militanza e, non dimentichiamolo, dall`Unione sovietica. Questo schema, che fondava la necessità del l`Unità, è entrato in crisi negli anni Settanta quando Enrico Berlinguer scelse il Corriere per la celebre intervista sulla Nato, con la quale prendeva le distanze dal Patto di Varsavia, e con la lottizzazione della Rai, grazie alla quale il Pci acquisì un forte radicamento nella terza rete e non solo. Nel mezzo secolo successivo, il mondo occidentale si è aperto alla globalizzazione, ha generato la crisi della classe media e ha ridotto da ultimo anche gli spazi della democrazia e del diritto, mentre il sistema dei media cambiava piattaforme tecnologiche. Ebbene, in questa trasformazione, che in Italia ha messo alla frusta anche i ‘giornali dei padroni’, il giornale fondato da Gramsci non ha mai reciso davvero il suo cordone ombelicale con il partito. Ogni leader ha sempre nutrito la preoccupazione di non subire le pugnalate del leader precedente che aveva i suoi supporter tra i redattori. E, alla fine, questa esigenza ha determinato la difesa dell`esistente, la prevalenza dell`edizione cartacea prodotta da una redazione tradizionale ma sempre più povera di mezzi su più moderne forme di comunicazione on line nelle quali la conquista del fatturato passasse dalla mera informazione all`offerta di una gamma assai più articolata di servizi rivolta non più soltanto alla vecchia base, ma anche all`universo che guarda al Pd o che, semplicemente, si interessa di questioni generali avendo una certa impostazione culturale.
Da anni l`Unità attira investitori privati allo scopo di integrare il finanziamento pubblico e le sempre più scarse contribuzioni del partito. Investitori variamente legati alle leadership prima del Ds e poi del Pd che si succedono nel tempo. È ora possibile che, per sostenere il giornale, il presidente del Consiglio eserciti un`attrazione fatale su qualche industriale o finanziere. Dopo l`Unità dalemiana, veltroniana, bersaniana, lettiana, avremo infine un`Unità renziana? Non lo so, ma sarebbe comunque una testata zoppa. Il premier segretario può ben pensare che il giornale tradizionale non serva più. Può salvare il brand per rilanciare le feste di partito e, chissà, unificare l’Unità ed Europa, altra testata di area Pd a diffusione ancor più ridotta. Ora, se la redazione è convinta di avere un progetto adeguato ai tempi, capace di parlare al Paese, e dunque di avere un mercato e un equilibrio economico in prospettiva, è arrivato il momento che i giornalisti de l`Unità prendano nelle loro mani il destino proprio e quello del giornale costituendo una cooperativa alla quale il partito potrebbe dare la testata in affitto a costo zero. Sarebbe dura, ma non impossibile, se la cognizione del dolore che viene da una crisi vissuta in prima persona avrà l`effetto di liberare le menti dalla subalternità all`idea che i giornali debbano per forza avere un padrone, fosse pure un partito, fosse pure il Pd, e non cercarsi una strada come public company in forma cooperativa o di società per azioni.

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