Distruggono lo stato sociale
Chi abbia ragione sul piano legale tra il fisco americano e la Apple lo stabilirà una corte di giustizia. Sul piano politico, tuttavia, il problema esiste e insidia le fondamenta stesse delle democrazie basate sullo stato sociale, che eroga non solo sicurezza e giustizia, ma anche istruzione, sanità e previdenza, direttamente o tramite voucher o crediti d`imposta. Accanto all`evasione classica sono fiorite forme di ottimizzazione fiscale che annullano il quantum dovuto da tante multinazionali al fisco dei paesi dove operano, agli stessi azionisti e alle loro economie in generale. La Apple fa passare dalla filiale irlandese i finanziamenti alla ricerca che svolge negli Usa, talché quella filiale di quei brevetti diventa comproprietaria e perciò titolata a caricare royalty, esentasse a Dublino, sull`intero gruppo che vende online application negli altri paesi. Il lato comico è che gli Usa strillano, mentre i paesi europei tacciono sereni. Un gioco analogo lo fa la Google: lo denunciai anni fa sul «Corriere della sera». Queste e altre multinazionali dirottano nei piccoli paesi a fiscalità bassa o nulla anche la liquidità. Per i soli Usa parliamo di 6-800 miliardi di dollari, per anni investiti in prodotti finanziari e non in attività reali e nemmeno restituiti agli azionisti. In prospettiva, con la crescente digitalizzazione delle economie avanzate, il potere delle multinazionali di orientare i propri flussi finanziari fuori da ogni logica dei sistemi paese, dove pure si origina il loro business, rischia di privare gli stati delle risorse per le politiche sociali. Chi sogna lo stato minimo se ne può pure compiacere. Ma la fine dello stato sociale dovrebbe essere decisa alle elezioni politiche e non provocata da fatti compiuti da un pugno di manager senza patria, nuovi capitani di ventura delle stock option.

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