‘Consiglio europeo su energia e ambiente. Matteo Renzi si è tenuto largo questa mattina in Senato. Ma tre suoi punti meritano maggior precisione’, lo scrive oggi sul suo blog, Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato. ‘Il primo – afferma Mucchetti – è l’impegno a schierare l’Italia per obiettivi di tutela ambientale delle “massima ambizione possibile”. Bene. Ma se l’Unione europea si dà gli stringenti vincoli ambientali indicati dalle democrazie nordiche mercantiliste e non si dà una carbon tax estesa anche alle importazioni dalle altre macroregioni del mondo, che ambientaliste non sono, questa stessa Unione Europea rischierà un doppio autogol: aumentando i costi di produzione favorirà la delocalizzazione di parte del suo apparato industriale, generando disoccupazione, e aumenterà l’inquinamento globale del pianeta, dato che le produzioni verranno fatte in Paesi a basso rispetto ambientale’. ‘Il secondo punto di Renzi – continua poi il senatore dem – consiste nel fissare un obiettivo del 27% di copertura dei consumi energetici da fonti rinnovabili. Il testo non chiarisce bene se i consumi di cui sopra siano quelli totali, nel quale caso c’è ancora parecchio da fare essendo il Paese attorno al 15%, ovvero se i consumi di cui sopra sono quelli elettrici, nel qual caso avremmo già superato l’asticella. Resta che il premier ha criticato l’eccesso di incentivi erogati alle fonti rinnovabili nello scorso decennio. E ha fatto molto bene. Se si devono mettere soldi pubblici in sussidi più o meno mascherati, molto meglio l’efficienza energetica negli edifici e nei trasporti per le evidenti maggiori ricadute positive nel sistema economico nazionale. In ogni caso, e l’ho segnalato al premier intervenendo in Senato, il palleggiamento delle responsabilità tra l’Autorità per l’Energia e il Ministero delle’Economia sta bloccando l’esecuzione della norma per cartolarizzare gli incentivi futuri alle rinnovabili. Prevista dalla legge sulla Competitività, tale norma può far risparmiare fino a un miliardo l’anno per i 15-18 anni residui. E proprio per questo può essere d’esempio in Europa. Diamoci una mossa’, sottolinea l’ex vicedirettore del Corriere della Sera. ‘Terzo punto, la Russia. Bene l’approccio fermo ma non pregiudizialmente ostile al Cremlino. Benissimo riorientare la strategia degli approvvigionamenti di gas e petrolio dall’asse Est-Ovest a quello Nord-Sud. E’ la linea dell’Eni post scaroniana. Ma qui bisogna avere il coraggio di muovere il passo decisivo e sostenere la nuova prudenza dell’Eni sul South Stream, il progetto di gasdotto voluto da Gazprom per attraversare il Mar Nero dalla Russia alla Bulgaria, per portare poi in Europa altri 63 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Ora l’Eni non considera più strategico quel progetto e lo qualifica come un investimento finanziario da valutare per quel che potrà rendere. In primavera la società del South Stream dovrà varare il suo primo aumento di capitale per aprire i cantieri. Si parla di 10-15 miliardi. L’Eni ha il 20% ma può non sottoscrivere. A occhio i 2-2,5 miliardi che Scaroni e Berlusconi volevano destinare al South Stream potrebbero avere altri e ben più interessanti impieghi. E chi dice che, ritirandosi l’Eni, Saipem perderebbe la commessa di costruzione del tubo, dovrebbe anche documentare se esistano clausole contrattuali in tal senso o non invece rilevanti penali a favore di Saipem nel caso venisse revocata la commessa’, aggiunge il presidente della commissione Industria di palazzo Madama. ‘Infine, un pettegolezzo: nella cena notturna dopo il vertice Asen di Milano, Silvio Berlusconi avrebbe tranquillizzato l’amico Putin sul fatto che l’Italia resterà nella società del South Stream, perché lui, Silvio, si ritiene in grado di influenzare su questo punto il premier Renzi. Gli capitasse mai di risentirlo e di toccare il tema, Renzi potrebbe passare dall’italiano al milanese e dire: “Silvio, fa’ no el bauscia….”’, così conclude Massimo Mucchetti.

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