Caro Direttore, il tentativo di acquisizione del controllo di Telecom Italia da parte di Telefonica de Espagna apre quattro problemi che coinvolgono anche Governo e Parlamento. Il primo è costituito dall`incapacità del capitalismo italiano di prendere in mano le grandi imprese quando l`azionista di riferimento passala mano.
Da Parmalat a Loro Piana, da Ferretti a Marazzi, da Avio a Bulgari, da Gucci alla Temi, da Wind, Fastweb, Omnitel fino a Telecom Italia, un gran numero di aziende floride o risanabili è stato acquisito da soggetti esteri. E ora prepariamoci a Fiat che si fa Chrysler, a Pirelli, ad Annaffi, all`Ilva. In alcuni casi l`inserimento delle aziende italiane in gruppimultinazionaliaggiungevalore, inparecchi casi lo distrugge. Quasi sempre toglie le funzioni strategiche e con esse i posti di lavoro più pregiati, connessi al quartier generale. Telefonica è il peggior azionista pensabile per Telecom e per il Paese nel quale Telecomgestisceuninfrastrutturastrategica.Temo addirittura che, una volta spartita Tim Brasil, gli spagnoli lascino Tèlecom Italia ulteriormente indebolita al suo destino. Leggo infatti. che Telefonica ha facoltà, non l`obbligo, di acquistare le azioni Telco ora in mano a Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca, mentre i tre soci italiani non hanno uno speculare diritto di vendita agli spagnoli.
In altri tempi, un`Italia meno colta e ricca di oggi esprimeva tuttavia imprenditori in grado di gestire la complessità. Quell`Italia è finita negli anni `80 con l` effimera stagione dei condottieri. I cervelli migliori, a cominciare da quelli della Banca d`Italia, s`illusero del contrario. Vennero le privatizzazioni cieche. E ora siamo alla denazionalizzazione del privato. Gli imitatori nostrani dei Tea Party se ne rallegrano. Per loro l`investitore estero è meglio a prescindere. Chi ha in mente il Paese, invece, dovrebbe preoccuparsi. Gli investimentiestericheallarganola base produttiva devono essere attratti in tutti i modi. Ma questo impegno non esime la classe politica dal promuovere la fioritura diunapiù fresca classe imprenditorialedi nuovo capace di gestire la complessità sia attraverso una miglior regolazione del credito e nuove iniziative nell`ossificato settore bancario, sia attraverso una politica della concorrenza al passo con le tecnologie, sia infine attraverso l`intervento pubblico laddove non emergano alternative private.
Il secondo problema aperto dal caso Telefonica-Telecom, riguarda il mercato finanziario. Il passaggio del controllo avviene all`interno di una scatola cinese, la holding Telco. Tale procedura concentra un premio del 90% sulle quotazioni correnti delle azioni Telecom in mano a soggetti che, in trasparenza, detengono 1`8% del capitale totale dell`ex monopolio delle telecomunicazioni e lascia tutti gli altri a bocca asciutta. Tra questi ‘altri’, figurano investitori istituzionaliesterichedetengonoil 52% del capitale. Buon senso vorrebbe che la legge difendesse invia prioritaria chi mette 5,7 miliardi rispetto a chi, aggiungendo 850 milioni agli antichi esborsi, vorrebbe il comando suunasocietàda 11 miliardi. Anzi, se vogliamo stare ai flussi finanziari netti da Paese a Paese, Telefonica mette sul piatto non più di 150 milioni (gli 850 promessi, a fronte di un vendor loan di 700 da parte di Intesa e Mediobanca). Questo contratto, che a me pare bruttino, è tuttavia legale. L`articolo 106 del Testo unico della finanza (Tut), infatti, prevede che l` obbligo dell` Opa totalitaria si dia soltanto quando si superi i130% dei diritti di voto (Telco ha il 22,4% del capitale ordinario, il 15% del capitale totale) ovvero quando cambi il controllo all`interno di una partecipazione tra i130 e il 50%. Il governo ha accolto l`appello del Senato a introdurre in tempi brevi una seconda soglia per l`Opa obbligatoria, determinata dal controllo di fatto, esercitabile con partecipazioni inferiori al30%. E` la stessa regola che vale in Spagna, dove l`Enel ha sì comprato Endesa, ma con un`Opa totalitaria, per contanti e generosa.
Questa riforma, si obietta, avviene a partita in corso. Un`espressione generica. Più preciso sarebbe decidere se la riforma dell`Opa abbia o no effetti retroattivi. L`attribuzione dei diritti di proprietà alle nuove azioni Telco in mano a Telefonica avverrà solo dopo la risoluzione della partita brasiliana. Se si vuole, si può. L`argomento è ‘friabile’ per l’ ex commissario Consob Salvatore Bragantini, solido per ilpresidente dellaConsob Giuseppe Vegas. Il legislatore deve attenersi alla voce dell`istituzione, Vegas. Se Telefonica ritiene di aver, maturato il diritto di avere Telecom senza Opa, ricorrerà al giudice e vedremo. Per il futuro avremo svuotato le scatole cinesi del premio di cui ora godono. Introducendo una seconda soglia d` Opa si rende più difficile il passaggio del controllo di fatto tra capitalisti avidi ovvero senza capitali. Questo è il terzo problema. Nel 1998, quando venne varato il Tuf, ci si limitò alla soglia unica del 30%. Una decisione sorretta dall`opinione (ideologica) che il cambio del controllo migliorasse la gestione aziendale. Ora taluni economisti e giuristi citano il favore che accordarono a quella decisione quasi fosse un dogma al di fuori del quale c`è solol`errore. Peccato per loro. Fuori dal dogma c`è la storia dei danni fatti dal frenetico cambiamento di proprietà che in talune aziende, Telecom è tra queste, ha selezionato i peggiori.
Quarto problema. Alessandro Penati scrive che la riforma dell` Opa è larispostasbagliata a un problema di governance: il destino diTim Brasil verrebbe deciso dagli amministratori nominati daTelco in conflitto di interessi. Ma se Telco, come è già avvenuto più volte, non applica le procedure per le decisioni tra parti correlate, che facciamo? Con un`Italia che staperdendo la sua grande industria, il tempo delle prediche inutili è scaduto.

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