di Giorgio Tonini

Le riforme istituzionali sono un nodo che non dobbiamo aver paura di sciogliere, se vogliamo restituire credibilità alla politica e forza alla democrazia. Abbiamo preso un impegno con i cittadini: mai più votare con questa legge elettorale. Questo impegno i parlamentari del Pd lo stanno mantenendo.
E se abbiamo dato vita ad un governo tra forze che sono state e restano avversarie, è anche e soprattutto per fare le riforme istituzionali, prima di tornare a votare.

In commissione Affari costituzionali il confronto su un testo di modifica immediata della legge Calderoli va avanti, anche se con fatica.
Mercoledì scorso intanto il Senato ha approvato in via definitiva (ora manca solo l’ultimo voto della Camera) l’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali. Sarà in quella sede che verranno elaborati i testi di riforma che ci daranno un bipolarismo più forte e maturo: con il governo del Primo Ministro, il superamento del bicameralismo con l’istituzione del Senato delle autonomie, la forte riduzione del numero dei parlamentari, la revisione in chiave solidamente autonomistica e non neo-centralistica del titolo V.
Il gruppo del Pd ha votato a favore dell’istituzione del Comitato, con la serena coscienza di corrispondere in questo modo ad un bisogno profondo e ormai anche antico del nostro Paese, nel rispetto pieno della lettera e dello spirito della nostra Carta costituzionale. Perché noi pensiamo che oggi dire che la Costituzione va attuata e dire che va riformata è la stessa cosa. E non si può dire l’una cosa senza l’altra. Solo una Costituzione sapientemente e coraggiosamente riformata nella sua parte strutturale, può essere attuata in quella parte di principi che ancora attende di essere tirata fuori dal cassetto, di diventare programma per un governo che voglia cambiare il Paese.

Aprire al popolo italiano le vie verso l’avvenire e farlo nella e con la Costituzione: questo è oggi il nostro compito. Un compito arduo e insieme ineludibile. Tanto più in uno scenario internazionale segnato dal crescente, diffuso affanno di tutti i sistemi democratici, su entrambe le sponde dell’Atlantico, dal persistente ritardo nel compimento della transizione democratica dei grandi paesi emergenti e dal preoccupante stallo, mentre proliferano i populismi, del processo di integrazione politica dell’Unione europea.

Si è molto polemizzato, in parlamento, nelle piazze e sui media, contro l’istituzione di questo Comitato e, più in generale, l’individuazione di una procedura in parziale deroga all’articolo 138. Esprimere riserve, preoccupazioni, o anche dissenso nei riguardi di questa scelta, è non solo legittimo, ma può essere ed è stato certamente anche utile.

Purché non accada che la ‘vis polemica’ ci faccia perdere il senso della misura e la misura del senso di ciò che in effetti stiamo facendo. Non possiamo infatti ignorare alcune semplici verità: la norma approvata non scalfisce le garanzie essenziali del 138, come la maggioranza qualificata o la doppia deliberazione, né il referendum. Essa contiene anzi più elementi di rafforzamento delle garanzie della rigidità della Costituzione che elementi di attenuazione. Viene infatti stabilito fin d’ora che qualunque sia il quorum dell’approvazione finale, sia comunque possibile chiedere la conferma del voto popolare mediante referendum.

Il gruppo del Partito democratico darà il suo contributo più convinto e impegnato, con mente aperta e spirito di collaborazione, a questo nuovo tentativo di riformare, con saggezza e coraggio, la seconda parte della Costituzione, nell’intento di rendere meno ardua la compiuta attuazione della prima.