Può affermarsi come, nonostante le varie tipologie delle fondazioni di origine bancaria, sia storicamente indiscutibile un loro collegamento con le realtà locali, quale riflesso del radicamento territoriale degli enti bancari e delle casse di risparmio da cui traggono origine…». La censura di irragionevolezza della norma risulta fondata, in quanto non può non apparire contraddittorio limitare la ipotizzata presenza degli enti rappresentativi delle diverse realtà locali agli enti territoriali senza ricomprendervi quelle diverse realtà locali, pubbliche e private, radicate sul territorio ed espressive, per tradizione storica, connessa anche all’origine delle singole fondazioni, di interessi meritevoli di essere “rappresentati” nell’organo di indirizzo (Corte cost. 29. IX.2013 n. 301). Il che riprende e “consacra” la tesi del Consiglio di stato (Sez. Cons. Atti Norm. 1.VII.2002 n. 1354/2002), secondo la quale il patrimonio delle fondazioni bancarie «appartiene moralmente, anche se non giuridicamente, alla collettività dei depositanti», cioé alla comunità di riferimento.
Chi non voglia non vedere sa che questo è il problema centrale delle fondazioni bancarie. La petizione di principio della Corte costituzionale, infatti, è stata sostanzialmente elusa in tutta Italia, caratterizzandosi il sistema per la esclusività, per la autoreferenzialità e per l’assenza di qualsivoglia indizio del riconoscimento dei diritti del “proprietario”, cioè della comunità di riferimento. è l’esperienza concreta, ad attestare che il citato diritto è stato sostanzialmente ridotto ad un contenitore vuoto, cosicché è impossibile l’esercizio effettivo del suddetto diritto: la Corte costituzionale parlerebbe di “espropriazione larvata” (Corte cost. 29. V. 1968 n. 55). Quali facoltà sono, infatti, riconosciute alle comunità di riferimento delle Fondazioni bancarie? Il ritorno derivante dalla distribuzione delle rendite del patrimonio, se e quando questo sia fruttifero: un ritorno, però, deciso da altri senza alcuna reale possibilità di incidere sulle scelte, e nemmeno di sindacarle. E questa possibilità non è data alla comunità “proprietaria” né sulle singole scelte, né nel momento “elettorale”, cioè in occasione delle rinnovo delle cariche. In linea di massima, gli statuti, infatti, escludono le comunità medesime dal procedimento di scelta della governance, sempreché non si ritenga – in contrasto con il ricordato monito della Corte costituzionale – che queste siano coinvolte per il solo fatto che si riconosca il potere di nomina e di designazione di una parte dei consiglieri ai comuni e alle province. Lungi da me negare il ruolo di questi ultimi, ma lungi da me anche fingere di credere che il diritto della comunità “proprietaria” sia così compiutamente rispettato e garantito.
D’altra parte, purtroppo la storia di molte Fondazioni bancarie testimonia gli effetti negativi del circuito puramente istituzionale, la sua tendenza ad avvitarsi nelle solite “logiche” e a perdere il contatto con il territorio e la propria missione. In un simile contesto, le Fondazioni bancarie, importantissime in questa lunga era di “vacche magre” per gli enti territoriali e per le formazioni sociali, sono diventate troppo spesso – e non poteva essere altrimenti – puri centri di potere a sè stanti, attente a difendere la propria autonomia, non raramente intesa e interpretata come “terzo potere” con rapporti rarefatti (e, comunque, non sufficientemente intensi e sinergici) con le comunità e le istituzioni. E ciò in evidente contraddizione con il principio della sussidiarietà, del quale le Fondazioni bancarie sono state antesignane. Niente di drammatico: questi enti hanno poco più di venti anni e sono, quindi, istituzionalmente parlando, dei neonati. Sarebbe sbagliato, quindi, aprire la “caccia alle streghe”, non servirebbe e non sarebbe giusto perché la novità e la delicatezza delle funzioni sono elementi oggettivi, che spiegano tutto, ben più e oltre i comportamenti umani. Le Fondazioni bancarie – e forse nemmeno il loro legislatore ne era consapevole – sono, infatti, nell’attuale quadro della finanza pubblica, una istituzione tra le istituzioni e, per di più, sul piano della costituzione materiale sono l’“istituzione” perché le loro decisioni sulla distribuzione delle elargizioni determinano, in misura decisiva, l’ambito di operatività dei comuni e delle province, spesso sancendo le fortune o le disgrazie politiche degli stessi amministratori. è notorio, ad esempio, che oggi la costruzione di una scuola dipende troppo spesso dalle scelte della Fondazione bancaria competente. In questo quadro, riposizionare le Fondazioni, ridefinire il rapporto con la comunità di riferimento e stabilire condizioni di una migliore e più concreta collaborazione e di una più efficace sinergia con gli enti locali è un atto dovuto costituzionalmente e politicamente: é una riforma costituzionale a tutto tondo, anche se non richiede una legge costituzionale. Nella Costituzione materiale, infatti, le Fondazioni bancarie sono istituzioni al pari degli enti territoriali e locali citati nell’articolo 118 della Costituzione per le ragioni su espresse: E una revisione della relativa legislazione appare necessaria per trovare una giusta dimensione e un’adeguata collocazione delle fondazioni medesime in relazione alle loro responsabilità pubbliche, senza consentire le invasioni partitocratiche, ma anche senza permettere una sostanziale autoreferenzialità sia per quanto riguarda la loro governance, sia per quanto concerne, in specie, l’attività di erogazione. Il tema é nazionale, ma merita di essere affrontato anche a Parma. Guardo al futuro e non al passato, anche se riparto da riflessioni del 2000-2001 svolte in consiglio comunale in assonanza, peraltro, con Andrea Borri, allora presidente della Provincia. Oggi, non hanno più ragione d’essere statuti che (a) riconoscano al consiglio generale uscente di nominare, direttamente o tramite la scelta nelle rose di nomi, nove su dodici dei componenti, (b) affidino conseguentemente al consiglio e delle future maggioranze (e, quindi dei vertici stessi) e (c) escludono ogni “diritto di parola” della comunità che ne é la proprietaria, e delle sue formazioni sociali (articolo 2 della Costituzione). Parimenti, negli statuti la trasparenza delle decisioni, la partecipazione di definizione dei cittadini e dalle scelte dei progetti e degli enti destinatari delle elargizioni, la sindacabilità delle decisioni e le regole della leale collaborazione tra le istituzioni, le formazioni sociali e la comunità di riferimento devono trovare una più netta, giusta ed equilibrata disciplina. Il 2014, se non sarà anno di elezione politiche, potrebbe essere utilmente impiegato per questa riforma istituzionale.

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