Più il dibattito sul premierato va avanti e più risulta necessario criticare non solo i contenuti del provvedimento, ma anche l`atteggiamento mistificatorio con cui governo e maggioranza insistono a presentarlo, rifiutando di ammettere le sue conseguenze più rilevanti sugli equilibri costituzionali del Paese. Nei giorni scorsi, mettendo in campo solidi argomenti, Giorgio La Malfa e Paolo Cirino Pomicino hanno spiegato su questo giornale come mai il Ddl 935 Meloni-Casellati svilisce il ruolo del Parlamento: l`elezione diretta contemporanea e concatenata del Presidente del Consiglio e dei parlamentari, con la seconda concepita come uno strascico della prima, e per di più basata su liste bloccate che azzerano il potere di scelta dei cittadini, dà vita a un sistema di rapporti tra potere esecutivo e legislativo che a livello statale non esiste in nessun altro Paese democratico, e che colpisce al cuore il principio di separazione e reciproca autonomia tra i poteri. Con il risultato di istituire, lo ha ben notato La Malfa, un regime di sottomissione strutturale delle due camere rispetto al vertice del governo, realizzando per tale via una concentrazione del potere incompatibile con i capisaldi del costituzionalismo liberale. Dal canto suo Pomicino ha evidenziato un dato indiscutibile, e cioè che la riforma, prevedendo una corposa serie di casi nei quali la sopravvivenza delle camere è totalmente dipendente dalla volontà del premier, azzoppa il Parlamento, intaccando il suo potere-chiave, quello di sfiduciare un governo considerato incapace sostituendolo con un altro ritenuto migliore. Come ha più volte fatto nel lungo dibattito svoltosi in sede di Commissione Affari Costituzionali del Senato, sul Riformista di ieri la ministra per le riforme ha replicato a queste osservazioni fattua- li asserendo che il progetto di cui è cofirmataria “lascia intatta la centralità del Parlamento”, che mantiene “il suo potere politicamente più significativo”, quello di dare e revocare la fiducia al governo. Ma come si può sostenere questo quando nel Ddl 935 sta scritto che il Parlamento viene automaticamente sciolto se nega la fiducia iniziale al Governo o approva una mozione di sfiducia, e che il Presidente del Consiglio può imporre lo scioglimento delle Camere qualora gli venga negata la fiducia in corso di legislatura? Come si può assimilare a un potere una scelta il cui esercizio provoca l`estinzione di chi la compie? Sarebbe opportuno evitare di prenderci in giro: chi difende l`elezione popolare del premier dovrebbe avere il coraggio di dire che crede nella bontà di un sistema in cui si dà molta più forza e potere al Presidente del Consiglio e si toglie molta forza e molto potere non solo al Parlamento, già oggi svilito dall`abuso della decretazione d`urgenza, ma anche al Presidente della Repubblica, il quale vedrebbe fortemente indeboliti, in quanto trasformati da liberi in vincolati, il potere di nomina del premier e il potere di scioglimento, due poteri decisivi per svolgere le sue funzioni di arbitraggio, di garanzia e di motore istituzionale di riserva. Funzioni che l`elezione diretta del premier svuota, anche a causa dello sbilanciamento di investitura tra Capo del Govermo e Capo dello Stato che di per sé comporta. Continuare ad affermare che si può fare l`elezione popolare del premier senza ledere il ruolo del Parlamento e del Capo dello Stato significa, all`atto pratico, sottrarsi a qualsiasi seria discussione, come sempre succede quando si nega l`evidenza. E questo, indipendentemente da come la si pensa in tema di riforme istituzionali, non è un bene.


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