«Questa è la fine di un periodo storico. Urge riflessione, meglio se autocritica». Stefano Esposito non ha fatto una campagna elettorale, ne ha fatte due. A Roma, dove per poco tempo è stato assessore di un Ignazio Marino ormai calante, e nella sua Torino. Il senatore del Pd noto per la sua lingua sciolta ha trascorso la domenica tra la premiazione di un torneo di calcio a Borgaro, in periferia e la consultazione perpetua del telefonino e degli annessi sondaggi riservati.
Anche lei contro l`ormai celebre sistema-Torino?
«Quella definizione racchiude un nucleo di persone che hanno sempre fatto bene e e altre che invece hanno
beneficiato delle istituzioni, in alcuni casi anche in maniera non meritata».
Dove ha sbagliato Fassino?
«Ha fatto bene il sindaco. Ma si è dimenticato del fatto che il Pd è al potere da 23 anni. Il suo limite principale è stato proprio il mancato ricambio. C`è anche stanchezza. Dopo tanto tempo, la gente vuole il cambiamento a prescindere».
L`età media della giunta non era tra le più basse d`Italia?
«Ma andiamo… Lo sanno tutti che il vero potere, e quindi il vero ricambio, è nelle fondazioni, nelle società
partecipate, in alcuni enti culturali. I nomi sono sempre gli stessi da vent`anni. Scommettere veramente sul
nuovo è un`altra cosa».
E il Pd non ha nessuna colpa?
«Eccome se ne ha. Il Pd ha fatto blocco, non ha costruito una nuova classe dirigente, anche per mancanza
di coraggio delle giovani generazioni. Si sono accontentate senza invece chiedere un ricambio fisiologico».
E i meriti della Appendino?
«Ho osservato lei e il suo entourage.
Affamati, felici di lavorare insieme, si abbracciavano. Noi invece siamo in preda a un individualismo sfrenato. I
nostri dirigenti partecipavano agli eventi pubblici con lo spirito di chi entra in un cinema d`essai per guardare un film russo. Non abbiamo più cura della casa comune. E purtroppo i risultati si vedono».


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