Il risultato referendario del 4 dicembre scorso ha aperto una frattura nello scorcio di storia politica e istituzionale degli ultimi anni. Di questa frattura si sono colti gli aspetti più evidenti: la rottura del «sentimento» che aveva legato la leadership di Matteo Renzi e il Pd a una consistente porzione di elettori, i sintomi di crisi nella relazione con il Sud e le fasce giovanili, le dimissioni del presidente del Consiglio, le tensioni nel Partito democratico che, evidenti durante la campagna referendaria, conducevano in un redde rationem alle dimissioni del segretario, alla scissione, al Congresso. Mi pare però che poco si stia riflettendo su una questione essenziale che è, insieme, concausa ed effetto dell`esito referendario. La discussione parlamentare sulla riforma costituzionale e sulla legge elettorale ruotò intorno a due assi principali: governabilità e rappresentanza. n tema di un loro bilanciamento, evocato anche dalla Corte nelle due sentenze sul Porcellum e successivamente – sull`Italicum, è stato centrale nell`elaborazione della riforma, prevedendo la fine del bicameralismo paritario e il potere di dare o revocare la fiducia affidato alla sola Camera dei deputati. Ma nessuno di noi che lavorammo e sostenemmo quel testo colse – ed è questo il punto politico – che ciò che stava maturando nel «sentiménto» che cresceva attorno alla riforma, e che poi sfociò nelle urne, era il primato del principio di rappresentanza. Un errore politico che si sommò ad altri e di cui, per mia parte, prendo la responsabilità.
Con il voto del 4 dicembre, i principi della stabilita e della governabilità sono pressoché definitivamente usciti di scena, dopo un protagonismo nel dibattito politico durato oltre venti anni: che sia un passo avanti per il nostro sistema, dubito; che lo sia per le classi dirigenti chiamate a governare, ancor meno. Nell`attuale dibattito sulla riforma elettorale la parola d`ordine è diventata: sistema proporzionale. Cancellata ogni critica, ad esempio, sul fatto che, storicamente, esso sia stato una delle cause del progressivo aggravarsi del debito pubblico.
I cittadini che hanno reclamato «rappresentanza tout court» si troverebbero di fronte a governi con programmi «contrattati» tra forze politiche di diversa ispirazione e, dunque, a un`azione continuamente rinegoziata, a una composizione delle due Camere frammentata e difficilmente gestibile, a un conseguente ritardo sulla traduzione della decisione politica in legge.
Alcuni commentatori hanno richiamato alla memoria il contesto e i drammatici effetti che seguirono alla crisi in Germania della Repubblica di Weimar: un paragone che rischia, anche a mio avviso, di tornare attuale nell`Italia dei prossimi anni. Qualcuno obietterà che non si tratti di niente di nuovo rispetto ai primi decenni di storia repubblicana. Con una fondamentale differenza: prima c`erano partiti di massa in grado di essere vero tramite tra cittadini, territori e istituzioni, luogo di partecipazione e di elaborazione di proposta politica, di formazione di quello che chiamammo (anche un po` enfaticamente) «intellettuale collettivo», che fu essenziale per garantire saldezza democratica in momenti tragici della nostra storia, sede di formazione e selezione delle classi dirigenti.
Credo che si comprenda, dunque, quale possa essere il livello di preoccupazione con cui si guarda a un sistema politico e istituzionale, che rischia di risultare inadeguato rispetto al difficile compito di ridare slancio riformatore, capacità e forza di governo, autorevolezza e affidabilità al Paese. E come questo compito non possa essere forza dell`uno, ma debba rimandare alla ricostruzione di un soggetto politico, un partito per quanto ci riguarda, che sia capace di assistere in quest`opera in quanto soggetto collettivo e plurale, radicato sul territorio, capace di interlocuzione vera con il Paese.
Lavoro non semplice, che deve partire dalla fatica del congresso per non esaurirlo in una competizione per la segreteria, e che ha la necessità di connettere, ma anche disseminare, laboratori di pensiero politico, riconoscendo valore ad esperienze di impegno civico, culturale, associativo. Restaurando, anche per questo verso, quella che fu l`ambizione che avemmo nel fondare il Pd.


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