Facile fare ironia sulla «senatrice in prestito», sul calciomercato dei parlamentari. Tatjana Rojc, uscita temporaneamente dal Pd per consentire al gruppo europeista di nascere, ha una storia da raccontare e una dignità da difendere. La sua, e quella della politica.

Com`è andata? Si è proposta lei?

«No, è una cosa di cui ho parlato con il mio partito, Marcucci e Zingaretti, e abbiamo deciso che, se era necessario, potevo spostarmi, provvisoriamente».

Quando gliel`hanno detto?

«Martedì sera. Ero a casa e stavo preparando il discorso per i 100 anni del Pci».

Un bel paradosso. Dal Pci agli europeisti sudamericani.

«Io non sono comunista. Sono una letterata. Mi sono iscritta al Pd perché credo che la politica sia una cosa importante».

E perché ha accettato di aiutare gli europeisti?

«Guardi, innanzitutto perché credo che Conte abbia fatto bene e sarebbe assurdo andare al voto in piena pandemia».

E poi?

«Per non far vincere la destra. Oggi è il Giorno della Memoria. Mi è venuto in mente mio padre. Lui è stato deportato in Germania, a Dachau. Dopo la guerra è tornato a casa a piedi. Non ha mai voluto raccontarmi niente di quello che è successo lì. Mi ha solo detto che lo hanno fermato per “questioni razziali”».

Perché?

«Perché era sloveno. Sono temi che conosco bene, perché ho lavorato con lo scrittore Boris Pahor, del quale ho scritto anche la biografia. Ecco, pensando a mio padre, al Giorno della Memoria, al razzismo, mi sono detta che in questo momento la politica doveva essere responsabile».

Una parola che è stata spesso sbeffeggiata.

«Sì, eppure continuo a credere che la politica sia una cosa bella, utile, che si debba fare con passione e responsabilità».


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