Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, oggi a Napoli, fa il punto con «Il Mattino» sul ruolo dei militari italiani in Iraq. «GliUsa sono soddisfatti per quanto l`Italia sta facendo. Intanto – osserva – occorre un riavvicinamento a Putin per un fronte comune contro il terrorismo».
Oggi sarà a Napoli, a palazzo Caracciolo, alla manifestazione conclusiva della festa del Pd, a parlare del referendum costituzionale. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, affronta i temi di attualità internazionale legati alla presenza militare italiana in Iraq e all`impegno concreto del nostro Paese nelle politiche sulle aree più critiche nello scenario
mondiale.
Ministro Pinotti, la battaglia di Mosul è ormai arrivata alle fasi conclusive?
«Speriamo. Si tratta di un`azione strategicamente importante, programmata da molto tempo. Ricordo che, già dieci mesi dopo la caduta della città, si parlò della riconquista di Mosul come dell`obiettivo prioritario nella lotta contro il Califfato. Spero davvero che sia conseguito».
Le difficoltà sono molte?
«Sicuramente. Si tratta di una grande città, dove vivono più di un milione di persone. Ci sono curdi, sunniti, sciiti. La riconquista dovrà avvenire senza urtare alcuna suscettibilità e salvaguardando al meglio possibile l` incolumità dei civili, che rischiano di essere usati come scudi umani dall`Isis. Il tema successivo, poi, sarà come gestire la govemance della città?»
Con la caduta di Mosul, il cosiddetto Stato islamico sarà definitivamente sconfitto?
«Sicuramente si darà un duro colpo. Fu proprio nella moschea di Mosul che venne proclamato il Califfato. Con Raqqa in Siria, Mosul è stato il centro più importante conquistato dalle milizie dell` Isis».
«Non ho sentito ancora il presidente Renzi, ma ho contatti frequenti con i nostri alleati. Posso quindi dire che gli Stati Uniti non hanno mai chiesto all`Italia più di quanto l`Italia stia facendo. Anzi, sono molto riconoscenti per il nostro impegno in Iraq e altrove».
In cosa consiste?
«In addestramento a Erbil e Bagdad e nel garantire le condizioni di sicurezza al lavoro che viene fatto nella diga di Mosul dalla ditta italiana Trevi».
Solo questo?
«No, siamo subentrati agli Stati Uniti nel Personnel Recovery ad Erbil. Di fatto, 130 unità dell`Esercito, assicurano, in caso di necessità, assistenza ai feriti degli scontri sia militari della coalizione sia civili. È un`assistenza a persone in difficoltà in un contesto di conflitto, assicurata con otto elicotteri. Abbiamo dato la disponibilità a questo impegno importante, utile alla coalizione nel suo complesso».
Quante unità italiane alla fine sono impiegate in Iraq?
«Si tratta di circa 1400 soldati, che rappresentano il numero più elevato nelle nostre attuali missioni all`estero. È superiore a quelli presenti in Libano, in Libano, in Afghanistan e in Kossovo».
Non ci sarà un ulteriore aumento di forze e impegno?
«Non credo. Quando si comprese che i piccoli villaggi tolti all`Isis venivano poi persi da successivi attacchi, il generale John Allen, che era stato incaricato dal presidente Obama di coordinare le azioni contro l` Isis, mi chiese un aiuto sulla sicurezza nei centri liberati. Inviammo nuclei di carabinieri, con il compito anche di addestrare la polizia locale».
L`attività di formazione di personale militare e di polizia assorbe molto le forze italiane impegnate sul fronte anti-Isis?
«Direi di sì. Dati, aggiornati di continuo, dicono che abbiamo addestrato oltre 7600 uomini dell`Esercito, circa 5000 della polizia e oltre 5000 peshemerga. Quasi il 50 per cento del personale nuovo addestrato è stato formato da noi».
Che posizione ha l`Italia nei contrasti tra il presidente russo Putin e il presidente Obama?
«Ci sono state tensioni negli ultimi tempi, sulle questioni informatiche e sulle diverse visioni nella guerra in Siria. Credo sia necessario un riavvicinamento, per saldare il fronte comune contro il nemico che è il terrorismo. Dopo il vertice Nato di luglio a Varsavia, si sono decise misure di rassicurazioni per i Paese dell`Est. Ma l`Italia continua a sostenere le iniziative per riaprire il dialogo».
Le manovre Nato restano una questione spinosa nei rapporti con Putin?
«Nelle esercitazioni della Nato, in tutto saranno impegnati non più di 4-5mila uomini. La nostra presenza è poco più che simbolica: avremo solo un compagnia di circa 150 soldati. Sono impegni che hanno il solo obiettivo di rassicurazione».
Il ministro tedesco dell`Economia rilancia al Financial Times, la proposta italiana della condivisione dei costi nelle missioni europee.
Che ne pensa?
«È la conferma di una nostra idea, inserita in molti documenti ufficiali. Il Paese che comanda una missione è quello che sostiene le maggiori spese. Come avviene per noi nella missione Sofia. Giusto, invece, che gli oneri siano ripartiti tra tutti i Paesi dell`unione».
Passando al tema principale della politica interna: continua a Napoli il suo impegno nella campagna elettorale sul referendum. È in prima linea su questo tema?
«Lo considero il tema fondamentale del dibattito politico. Bisogna impostare la discussione sul cosa serve oggi a questo Paese per fare passi in avanti».
Uno dei temi del confronto politico è la legge elettorale. Il premier Renzi è davvero disponibile a delle correzioni?
«Sì, lo ha ripetuto, Si tratta di una questione autonoma rispetto al referendum. Non capisco, ad esempio, perché si continui a ripetere che il referendum aumenta i poteri del premier, quando non è materia toccata dalla riforma. Ma sulla legge elettorale è stata data con chiarezza, la disponibilità a fare modifiche».
Cosa?
«Per esempio, per una questione connessa all`elezione dei senatori, c`è la disponibilità ad accogliere la proposta Chiti-Fornaro. Interviene sulle elezioni per i consiglieri regionali, che potrebbero già essere designati rappresentanti in Senato dagli elettori che li scelgono, esprimendo così la loro preferenza per entrambi gli incarichi».
Le critiche sul sistema elettorale e la riforma del Senato sono state sollevate anche all`interno del Pd: c`è sempre profonda frattura sul voto da dare al referendum?
«Molto spesso le tensioni sono più tra autorevoli esponenti del partito, che all`interno del dibattito tra la base del partito».
Che significa?
«Le faccio l`esempio della mia regione, la Liguria, che ha sempre avuto una componente molto forte legata all`ex segretario Bersani. Lì a stragrande maggioranza dei dirigenti è convinta e impegnata per il sì».
Vuol dire che nel Pd non c`è chi voterà per il no?
«Almeno seguendo i risultati di nuovi sondaggi, oltre il 70 per cento degli elettori del Pd voterà per il sì. Si tratta di un elettorato molto convinto. E, per questo, sono sicura che all`interno del Pd ci sia un consenso molto ampio per il sì».