Secondo l’ultimo Eurobarometro, il 70% dei cittadini europei vuole che l’Unione Europea intervenga di più in materia sanitaria. La proposta di bilancio pluriennale avanzata dalla Commissione, tuttavia, guarda nella direzione opposta. I fondi per la salute vengono tagliati del 10%, e tutto il Programma dell’Unione Europea per la salute potrebbe essere inglobato in un nuovo Fondo Sociale Europeo + (FSE+) che mira ad integrare le politiche sociali, ma che rischia di fatto di disimpegnare Bruxelles dalle politiche sanitarie.
La sanità è competenza prioritaria degli Stati membri e delle regioni. Il Servizio Sanitario Nazionale dispone per il 2019 di un budget di 119 miliardi di euro, pari a circa il 6,8% del PIL. Per fare un confronto, il Programma dell’Unione Europea per la salute dispone per il periodo dal 2014 al 2020 di 450 milioni di euro, da spartire fra 28 Stati membri. Briciole, a cui si sommano una decina di miliardi di euro spesi dal programma di ricerca Orizzonte 2020 per progetti di ricerca e innovazione nel campo della salute, sempre nell’arco dei sette anni.
Non chiedo che l’Europa soppianti gli Stati membri nella gestione delle politiche per la salute, ma l’Unione Europea non rinunci al suo ruolo di coordinatore e armonizzatore delle politiche sanitarie per l’interesse generale.
Due sfide esemplificano il bisogno che abbiamo, anche in materia sanitaria, di un’Europa che collabori e che investa. La prima è la battaglia mondiale contro l’antibiotico resistenza, una nuova minaccia sanitaria che secondo la stessa Commissione Europea nel 2050 potrebbe costare più vite umane rispetto al cancro. Il rapporto One Health, pubblicato nel 2017 dalla Commissione, disegna un piano di lavoro legislativo e di monitoraggio coordinato per limitare al minimo necessario l’uso degli antibiotici per uso umano e veterinario, e prevede che la Commissione accompagni gli Stati membri nello sviluppo di politiche di prevenzione alla resistenza antimicrobica. La resistenza antimicrobica è una minaccia sanitaria che non conosce frontiere, e la cui prevenzione generalizzata in Europa e nel mondo è l’unica difesa per evitare un’epidemia negli ospedali anche italiani. Gli Stati membri accettino di cooperare a livello europeo perché l’azione di tutti abbia un effetto maggiore.
La seconda sfida è quella di garantire il diritto alle cure mediche a tutti i cittadini, anche coloro che sono afflitti da malattie rare per cui non esistono ancora cure o i cui trattamenti sono particolarmente costosi. È nell’interesse di tutti i pazienti europei che gli Stati membri concentrino i loro finanziamenti destinati alla ricerca in fondi capaci di finanziare ricerche anche molto dispendiose, ma che possono portare alla scoperta di nuovi medicinali salvavita. Inoltre, perché i medicinali possano essere utilizzati effettivamente, è necessario che non gravino eccessivamente sulle casse del Servizio Sanitario Nazionale. Ben venga quindi lo sforzo congiunto di Stati membri per negoziare insieme il prezzo dei medicinali con le case farmaceutiche. È offensivo verso i pazienti che il prezzo di un medicinale possa variare di diverse decine di migliaia di euro di Paese in Paese, facendo sì che alcuni fondi sanitari nazionali non riescano a coprire le spese necessarie per un trattamento.
Da medico, la mia preoccupazione più grande è la salute dei pazienti e dei cittadini. Chiedo quindi all’Europa e ai leader nazionali uno sforzo in più, anche in merito al ruolo della sanità nel prossimo bilancio europeo e nella Commissione che si formerà dopo le prossime elezioni Europee, dove credo che sia importante che rimanga una Direzione generale della Salute e della sicurezza alimentare. Combinando gli sforzi di ognuno, in Europa riusciamo a rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale di tutti i Paesi, senza perdere sovranità ma anzi restando tutti in controllo delle minacce invisibili che ci circondano.


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