Taverna del Re si avvia alla dismissione. Il più grande distretto dei rifiuti del Mezzogiorno d`Italia, tra i più grandi d`Europa, tornerà gradualmente alla normalità, per quanto potrà essere` ‘normale’ un terreno che per quasi quindici anni è stato una gigantesca pattumiera: milioni e milioni di metri cubi di immondizia imbustata, accatastata, coperta da plastica nera dalla quale, ogni tanto, spunta un ramo o un cespuglio di nuova vegetazione. E` di ieri il via libera del Governo al primo stanziamento di fondi centocinquanta milioni di euro – destinati alla rimozione delle ecoballe, spazzatura ‘tal quale’ spacciata per combustibile da rifiuti e per questo concessa in pegno alle banche a garanzia dei fondi che furono destinati alla costruzione del termovalorizzatore di Acerra. Era la fine dello scorso millennio e l`inizio di un disastro, ambientale e sociale, che ha condizionato l`esistenza di quattro milioni di persone e l`economia dell`intera Campania. Un disastro fondato su un pasticcio, un pateracchio purulento, che sintetizza le ragioni (non tutte) che hanno sinora impedito la bonifica del sito e l`estinzione di uno dei focolai della Terra dei Fuochi. Perché sinora quei rifiuti erano iscritti nelle poste di bilancio come se fossero denaro contante, da destinare esclusivamente alla vendita per la combustione, ma nessuno aveva controllato davvero di che qualità fossero e se fosse possibile bruciarli. Ora il paradosso è stato risolto, i soldi ci sono e si potrà mettere mano alla progettazione e all`indizione dei bandi di gara per Io smaltimento: affidamenti che dovranno, come da codice dei contratti e degli appalti, rispondere a una domanda unitaria di soluzione del problema pure se, verosimilmente, saranno suddivisi in lotti operativi. È l`inizio della fine della più grande vergogna campana e nazionale, dello scandalo che ha arrochito le casse di camorristi, politici e imprenditori collusi e corrotti, e avvelenato migliaia di cittadini: chi vive a ridosso della montagna di spazzatura, chi ha respirato i fumi dei roghi tossici, chi ha bevuto l`acqua dei pozzi avvelenati dal percolato tossico precipitato nella falda profonda.
Matteo Renzi ha mantenuto la promessa fatta all`indomani del suo insediamento a Palazzo Chigi, quando visitò quella parte malata di Sud; l`ha mantenuta anche Andrea Orlando, che quell`angolo d`inferno già conosceva e che si era impegnato a risanare quando era a capo del dicastero per l`Ambiente. Ma per comprendere a fondo il valore (etico, prima ancora che finanziario) dell`intervento, è necessario spiegare bene di cosa si sta parlando, al netto delle suggestioni delle immagini e delle legittime proteste di chi abita a ridosso di un triangolo di oltre trecento ettari di terreno che un tempo furono la ricchezza naturale della Campania Felix. È lì, a mezza strada tra Castelvolturno, Villa Literno e Giugliano, che quasi trent`anni fa sono nate le ecomafie. E` lì che sono finiti i rifiuti industriali che le discariche del Nord non erano in grandi di smaltire: i detriti dell`Acna di Cengio, i collanti delle concerie toscane, i solventi dei poli petrolchimici. Lì, proprio lì, alle spalle di Taverna del Re, nei fossi di località Giardino, a Pozzo Bianco, a Tre Ponti, a Ponte Riccio, nelle cave X e Z a Scafarea: discariche abusive gestite alla luce del sole dalle società di Gaetano Vassallo (oggi collaboratore di giustizia) e Cipriano Chianese, avvocato e anello di congiunzione tra la politica della Prima e della Seconda Repubblica, la camorra casalese, gli Industriali massoni della provincia di Arezzo, di La Spezia, piemontesi. Un giro d`affari di centinaia e centinaia di milioni di euro, sottratti alle casse della Provincia di Napoli (fino al1993) e della Regione Campania, talvolta succube, talvolta complice, dei due inquinatori seriali. Tanto per citare un esempio, durante la sola emergenza del 2003 Chianese mise all`incasso una fattura di 37 milioni di euro (ne furono pagati una ventina) relativi all`apertura temporanea delle due cave, fossi già stracolmi ma indispensabili per alleggerire Napoli dalle montagne di immondizia. Un sistema rodatissimo fondato sulla corruzione (di chi doveva controllare la regolarità dell`operazione) e sul ricatto: senza soldi si chiude, alla faccia dell`emergenza. Un sistema basato sulla collusione e sull`intimidazione, che ha consentito rapide carriere politiche e un ulteriore giro d`affari, quello dei trasporti, che si è affinato durante la seconda emergenza, quella del 2007/2008 che ha portato la città di Napoli sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo piegando la sua storia e la sua economia all`orrore della sporcizia: come la peste di Orafo, con il bacillo mortale sempre pronto a rispuntare in un vicolo, in un anfratto, in una campagna sperduta. Lì, in quel triangolo, si sono stretti accordi scellerati e svenduto l`agricoltura di qualità, la principale fonte di reddito di quel comprensorio. Lì si è sporcata la terra dove vengono allevate le bufale. Lisi sono distrutti i frutteti. Lì si sono lasciati i bambini a giocare nelle pozzanghere di percolato. Lì sono stati portati gli scarti industriali delle fabbrichette di frodo, quelle che alimentano il mercato del falso, poi bruciati dal fuoco continuo che ha ribattezzato il territorio. Ed è lì che bisogna ricominciare. Con una avvertenza: chi ha inquinato è già ín agguato per partecipare al banchetto della bonifica. Ed è per questo che sui fondi destinati allo smaltimento delle ecoballe (qualcosa andrà all`estero, qualcosa dovrà essere reimpiegato in altro modo) e sulle ditte che si aggiudicheranno le gare, è necessaria la massima sorveglianza. Per Terra di Lavoro è l`ultima speranza.

Ne Parlano