La nostra vera sfida è salvare Roma
Non guarderò ai gruppi d’interesse ma alle persone. Non é politica è Roma». Ignazio Marino è soddisfatto per il trionfo alle primarie di Roma per la battaglia dei sindaco. E in un’intervista a l’Unità invita il centrosinistra a lanciarsi nella vera sfida: vincere le elezioni e cambiare la città dopo i disastri della giunta Alemanno. «Roma sì merita di meglio».
La conferenza stampa del vincitore delle primarie si svolge in un luogo simbolo: una volta era la cattedrale nel deserto, la stazione Ostiense costruita con le speculazioni dei mondiali del `90, che finalmente ha trovato vita ed è diventata una cattedrale del cibo di qualità. Si mescolano ai giornalisti candidati presidente di municipio, deputati, supporter, che lo applaudono quando arriva. Il luogo è scelto non a caso, perché Ignazio Marino ha, fra le sue convinzioni, quella di andare avanti sulla strada della nuova economia, della valorizzazione delle attività agricole nel Comune più agricolo d’Italia, con 51.000 ettari di Agro romano. Marino annuncia di aver telefonato ai «suoi presidenti», Pietro Grasso e Luigi Zanda, per annunciare le dimissioni da senatore. Perché, spiega, da oggi parte la sfida nuova, la sfida vera. Risponde al fuoco di fila delle domande, che si concentrano sullo schieramento che lo ha sostenuto, da Ingroia a Sel. O sulle diffidenze del mondo cattolico
. «É strano – dice lui – io ho fatto il chierichetto a Genova quando c’era il cardinale Siri, considerato papabile quando fu eletto Giovanni XXIII, sono stato scout, mi sono laureato alla cattolica e, sulle questioni bioetiche, il mio interlocutore è stato il cardinale Martini». Non solo, aggiunge, «per Roma io penso a una città a misura di bambino, a un piano per gli asili nido, a un’aria respirabile, a una città più sicura. Sono politiche per la famiglia, perché i cattolici non dovrebbero essere d’accordo?». Ne trae una morale sintetizzata con un detto popolare della sua infanzia: «Il lupo di malacoscíenza come opera pensa» per spiegare che non intende guardare ai gruppi di interesse ma alle persone e ìndica lo slogan alle sue spalle: «Non è politica è Roma». Al giornalista dell’Ansa che gli chiede dì possibili ticket elettorali risponde come si possono togliere tagliando gli 834 milioni di consulenze per la sanità». «Ritengo di essere una persona libera che vuole governare Roma con le idee e non con l’ideologia». Attacca l’inconcludenza di Alemanno: «Sono stato a Case rosse, lì nel 2008 Alemanno aveva promesso di portare l’illuminazione stradale. Al posto dei pali della luce, ora, ci sono buche pericolose».
Il sindaco Alemanno a La7 ha detto che lei è un marziano. Cosa risponde? «Confermo, sono un marziano. Lo sono rispetto ai metodi usati nel governo di Roma in questi anni, dove ai manager sono stati dati stipendi di 100 volte superiori a quelli dei dipendenti, stipendi che non sono stati nemmeno agganciati a obiettivi precisi da raggiungere. Le mie nomine si faranno all’insegna della trasparenza, dei curricula e della competenza».
Alfio Marchini ha commentato la sua affermazione alle primarie come la vittoria di una candidatura di sinistra. In più ci sono molte aree del mondo cattolico democratico che potrebbero orientare la loro scelta diversamente, sentendo come troppo radicali le sue posizioni sui diritti comequelli relativi allecoppie di fatto.
«Non conosco personalmente Alfio Marchini ma sono molto interessato al confronto con lui e ad ascoltare le sue idee. Lui stesso, mi pare, ma forse sbaglio, ha posto fra le priorità l’istituzione di un registro per le unioni civili. Il mio punto di vista è rispettare le idee e le sensibilità di tutti. Roma è il centro della cristianità mondiale e mi ha umiliato che, in occasione della via crucis, non ci fosse una adeguata preparazione, in modo che pellegrini e persone arrivate da tutto il mondo potessero assistere alla processione attraverso i maxischermi. Ce ne era solo uno. Ma a Roma c’è anche la comunità ebraica più antica, ci sono la moschea e il centro buddista più grandi d’Italia. Le rispondo con una frase del cardinal Martini che mi piace molto: la differenza non è fra credenti e non credenti ma fra pensanti e non pensanti. E sono sicuro che Alfio Marchini è fra i pensanti».
Cosa risponde alle polemiche sul voto di persone rom e immigrate?
«Le rispondo come ho già fatto in conferenza stampa con una analisi matematica. A Roma vivono 7000 rom, compresi i neonati. Se avessero votato tutti, anche i neonati, resterebbero 93.000 degli altri cittadini. In realta, quello che sappiamo è che hanno votato alcune decine di persone di etnia rom e, come ha detto il ministro Andrea Riccardi, autorevole esponente della comunità di Sant’Egìdio, non ci si deve spaventare appena si vede qualche rom».
Quale rapporto instaurerà coni competitori delle primarie?
«Ci sarà il confronto con tutti, ciascuno di loro ha un percorso e una cultura su specifiche aree strategiche per Roma, che daranno un contributo prezioso. Del resto questo è il motivo per cui si fanno le primarie che servono per far emergere il progetto migliore ma con il contributo di tutti. E servono per far vincere chi lo merita per far vincere tutti alle elezioni».
Fra qualche giorno Alemanno nominerà il rappresentante del Comune nel Cda di Acea. Lei parla di metodi nuovi, basati sul merito, ma i suoi metodi rischiano di dover aspettare cinque anni per realizzarsi. Inoltre il candidato di Alemanno sembra rappresentare più l’interesse di privati che quello dell’azionista pubblico.
«Io spero che Gianni Alemanno rinunci a fare nomine a pochi giorni dalle elezioni, sarebbe un gesto arrogante, poiché quei vertici dovranno lavorare con il nuovo sindaco e Alemanno, se vince, li potrà nominare dieci giorni dopo essere stato eletto. E c’è dell’altro, se sarò io a vincere, bisognerà rivedere quegli stipendi da 750.000 euro l’anno, soprattutto in una azienda che, negli ultimi anni, è andata in perdita. E poi, io mi sono schierato ai referendum contro il nucleare e per l’acqua pubblica e il voto referendario ha deciso. Ora non si possono truccare le carte rispetto ad una indicazione popolare, facendo amministrare l’acqua pubblica dai privati»