L’agonia di una bambina, una cura fuori protocollo e il bisogno di uno stato compassionevole
L a vicenda che la fatale pigrizia dei mass media definisce della ‘piccola Sofia’ solleva dilemmi di grande rilievo. Guai a sottovalutarli, La bambina di tre anni è affetta da leucodistrofia metacromatica, malattia degenerativa che porta a progressiva paralisi e a cecità; e, allo stato, non sembrano esservi cure in grado di bloccarne il corso. Il ‘metodo Stamina’, introdotto in Italia da Davide Vannoni e Marino Andolina, sarebbe in grado di ottenere risultati positivi e questo, evidentemente, alimenta le attese di famigliari che vivono la più lancinante delle tragedie. Ma l`intera comunità scientifica respinge quel metodo in quanto può comportare ‘condizioni di rischio reale’; e in quanto si sottrae a tutte le condizioni e i vincoli universalmente condivisi, destinati a riconoscere validità scientifica a una metodica o a un farmaco. Di conseguenza nemmeno il notevole progresso sul piano della sensibilità terapeutica e dell`intelligenza medica, introdotto grazie all`allora ministro della Salute Livia Turco – dalla norma sulle cure compassionevoli, può risolvere il problema. Le cure compassionevoli, infatti, riguardano terapie e farmaci già oggetto di sperimentazioni cliniche e vanno comunque sottoposti a vincoli e limiti nonché, in alcuni casi, a specifica autorizzazione. Il ‘metodo Stamina’ non rientra in tale quadro, pur se gli ideatori dicono di aver messo a disposizione delle autorità sanitarie le cartelle cliniche dei pazienti; e pur se avrebbero dato, già nel 2011, la disponibilità a portare avanti una sperimentazione sulla base dei criteri consolidati. E, tuttavia, la prevista commissione ministeriale che doveva produrre il relativo protocollo mai sarebbe stata formata. Ma ciò, lungi dal semplificare la questione, la ingarbuglia ancora di più. Il primo problema è rappresentato dal fatto che tribunali diversi hanno prodotto ordinanze opposte, autorizzando in un caso e negando in un altro l`accesso al ‘metodo Stamina’; e, d`altra parte, il decreto Balduzzi, consentendo la prosecuzione della terapia per tutti i trattamenti già avviati (compresi quelli per i quali siano stati compiuti solo atti preparatori), introduce una condizione di disparità rispetto ai possibili futuri pazienti. Sullo sfondo, poi, emerge una questione ancora più complessa. Siamo in presenza, infatti, di una patologia per cui non si dispone attualmente di alcuna cura efficace (e ciò corrisponde a quella ‘mancanza di valida alternativa terapeutica’, prevista dalla norma); patologia che, nel caso specifico, colpisce bambini talvolta nella primissima età. Ne consegue che il dibattito medico è destinato a incrociare un grumo di dolore intollerabile. Questo è il punto. Nessuna controversia scientifica all`altezza del nostro tempo può ignorare questo ‘fattore umano’. Affidarsi alle evidenze scientifiche è, non solo facile, ma perfino consolatorio; risolve i problemi a livello della nostra consapevolezza intellettuale, ma esige la nostra estraneità totale all`esperienza concreta e vissuta del dolore. Qualora ne partecipassimo o anche solo ne venissimo sfiorati, il nostro punto di vista cambierebbe. Certo, do per acquisito che compito prioritario di un`istituzione statuale è quello di affermare il valore o il disvalore scientifico di una terapia o di un farmaco; e che le cure compassionevoli debbano rispondere a precisi protocolli ed essere somministrate all`interno di strutture pubbliche. E, tuttavia, questo non esaurisce il discorso: perché è altrettanto vero che la competenza dello stato nel distinguere tra terapie validate scientificamente e trattamenti non validati scientificamente deve evitare di arrogarsi una autorità morale che interdica le libere scelte degli individui. In altre parole, il principio dell`autodeterminazione del paziente (e di chi esercita la potestà genitoriale) non può essere in alcun modo limitato, né tantomeno interdetto, dal giudizio sulla validità scientifica del trattamento da lui scelto. Quel principio, in condizioni estreme – e nulla è più ‘estremo’ della lenta agonia di un bambino – deve conoscere attenuazioni? In genere, questa è la risposta: bisogna evitare di creare false aspettative. Non sono d`accordo. Penso che l`unico limite sia quello della possibile speculazione economica collegata alla commercializzazione di una cura non validata scientificamente; o della manipolazione delle informazioni relative ai risultati del trattamento. Per il resto, penso che ci si trovi di fronte a una classica ‘scelta tragica’: ovvero al conflitto tra due beni ugualmente meritevoli di tutela. Il diritto a una cura con ragionevoli possibilità di successo e quello che Stig Dagerman chiama ‘il nostro bisogno di consolazione’. Certo, non è un diritto positivamente sancito, ma è un`esigenza irriducibile. E` spes contra spem. E si ritrova in quella dimensione profonda e intimissima, dove un genitore deve compiere, appunto, la sua scelta tragica. Affidarsi ai protocolli scientifici oppure a un dio o a una illusione o a Davide Vannoni. Si dirà: ma perché tutto questo dovrebbe avvenire all`interno del Sistema sanitario pubblico? Abbastanza giusto, ma siamo certi che le cure compassionevoli non debbano spingere i confini della ‘compassione’ oltre il perimetro – così erratico e mutevole della scienza?

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