Calderoli e la metamorfosi del politicamente scorretto in scurrilità puerile
Lo so, lo so che ‘psichiatrizzare’ gli avversari è una sconcia pratica tardo-sovietica. Ma davanti a Roberto Calderoli si fatica a trattenersi. L`uomo è trasparente fino alla forma più perversa di assoluta innocenza. E così i suoi incubi (gli africani, gli omosessuali, e chissà chi altri) non possono che essere interpretati come altrettanti segnali di una profonda insicurezza psicologica. E, forse, di una struttura caratteriale dove, appunto, quegli incubi evocano angosce indicibili e rimossi dolorosi. Non è giusto qui insistere, ma ci vuole ben poco a immaginare che cosa possa nascondersi dietro il richiamo, così ripetuto, ai ‘culattoni’. E tuttavia, ancor prima, ciò che più colpisce nel vicepresidente del Senato è, diciamolo, la codardia. Calderoli è un pusillanime congenito. Quelle che il Foglio ha chiamato ‘sparate’ sono state numerose e tutte, immancabilmente, seguite da precisazioni, rettifiche, modifiche, correzioni, attenuazioni, spiegazioni, mediazioni, contestualizzazioni… E via così, dandosela bellamente a gambe, in un imbarazzato e imbarazzante strascico di autocritiche reticenti e di reticenze oblique. Sulla genealogia dell`homo calderonianus, le considerazioni più intelligenti si trovano in un articolo di Vittorio Lingiardi (‘Noi, razzisti senza saperlo’), pubblicate sul Sole 24 Ore di domenica scorsa. Ma c`è un`ulteriore riflessione da fare. La mia opinione è che il Foglio sia l`autorità culturale e morale cui spetta il compito di restituire a Calderoli – nonostante Calderoli – la sua verità: e con ciò un pezzo, almeno un pezzo, di onore. Tocca al Foglio ‘raccogliere le bandiere lasciate cadere’, con la sua goffa semi-autocritica, dall`esponente leghista. E, allora, perché non fare di quel ‘Kyenge = orango’ un vessillo della lotta al politicamente corretto, alla quale il Foglio, e non certo da solo, sí dedica da decenni? ‘Kyenge = orango’ come parola d`ordine di una guerra di liberazione dal ‘giogo soffocante’ del conformismo di sinistra, che vorrebbe interdire equazioni quali quella sul ministro dell`Integrazione e altre ancora (irregolari = criminali, romeni = stupratori, rom = ladri). Non si tratta di un paradosso. Il rigurgito calderoniano, a mio avviso, è l`espressione estrema e sgangherata, dissennata e stracciacula – e plopial piccino diabolici, ma non gli aveva detto mica di ‘uccidere le persone’. O come Attila che, dopo aver scatenato la foia degli unni, non stava lì a menare tanto il torrone se poi quelli (gli unni) esageravano un po`. Insomma, il problema del peso talvolta insostenibile della parola, e delle sue conseguenze, esiste. E il politicamente corretto non è un birignao sinistrico né una retorica della simulazione. E`, piuttosto, una strategia di mediazione culturale, espressione di un percorso di civilizzazione, che aspira a interdire le manifestazioni più dirompenti di aggressività verbale e di violenza semantica. In altre parole, è un sistema volontario di democratizzazione della lingua.
La gara a chi la spara più grossa
Si tratta di questione delicatissima, che richiede grande equilibrio, perché evidentemente – quella procedura di mediazione culturale può dare esiti infelici, spesso velleitari, talvolta ridicoli, ma non è, questa, una buona ragione per rinunciarvi e per seguire una procedura perfettamente speculare. Quale quella che così tanto successo ha riscosso negli anni recenti tra gli intellettuali più fichi e i politici più smagati. Tra questi è stato tutto un gareggiare a chi la sparava più grossa, sul piano dell`anticonformismo di maniera e della sconvenienza ideologica. Così che il giudizio ‘quello sì che è politicamente scorretto’ è diventato una benemerenza, mentre era niente più che una scemenza. Era inevitabile pertanto che – se non li avvertivi prima – sulla scia dei sofisticati critici dell`egemonia del luogocomunismo, arrivassero i ruvidi sfasciacarrozze (Borghezio, Calderoli, ma anche numerosi esponenti del Pdl e, magari, quel consigliere comunale di Sel di Cavarzere…). E chi glielo diceva, a questi ultimi, quale fosse il limite preciso, oltre il quale la spregiudicatezza diventava scurrilità puerile, l`anticonformismo precipitava nella più sconfortante banalità del disprezzo e, per épater le bourgeois, si finiva col considerare un`idea brillantissima quella di mettersi a scorreggiare in pubblico.

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