Candidare Magalli è una proposta politica, una risposta ‘moderata’ alla crisi di sistema
Candidare Magalli è una proposta politica, una risposta ‘moderata’ alla crisi di sistema e i sa com`è andata. Al termine del primo turno di raccolta delle indicazioni dei lettori del Fatto quotidiano per la presidenza della Repubblica, Giancarlo Magalli risultava saldamente all`ottavo posto. E, nella prima giornata di voto del secondo turno, il conduttore televisivo svettava in testa, superando Stefano Rodotà di due terzi dei consensi. Lo stupore che ciò ha determinato mi è sembrato francamente eccessivo, per alcune ragioni che qui dirò. Magalli ha commentato la cosa con un messaggio sulla sua pagina facebook, che fa comprendere bene sia le ragioni dei tanti consensi sia i motivi della diffusa meraviglia suscitata dalla sua performance. La quieta pacatezza del messaggio di Magalli è sufficiente a spiegare la larghissima simpatia nei suoi confronti; ma è altrettanto rivelatore ciò che egli riporta a proposito della telefonata ricevuta da un giornalista del quotidiano promotore del ‘sondaggio’. Il giornalista in questione mi ha chiesto scrive Magalli – di ‘ritirarmi dal ballottaggio, come a dire che lo scherzo è finito’ e, poi, che quei voti ‘se li potrebbe prendere Rodotà’, persona che a Magalli stesso non dispiace. Ma il rifiuto dell`interessato è netto (‘La mia faccia è e resta a disposizione di chi vuole usarla per esprimere il suo sdegno, la sua indignazione, ma soprattutto la sua speranza’). C`è di che riflettere. L`indicazione del nome di Magalli è più sofisticata di quanto possa apparire. E non è – come può sembrare al primo sguardo una scelta meramente caciarona. Capiamoci: conosco decine e decine di persone che, davanti a un austero elenco grigiovestito, nutrito di cervelloni fumanti, avvertirebbero l`irresistibile pulsione di scegliere, che so, Raffaella Carrà (da sempre di sinistra, oltretutto). O, ancor meglio, indicherebbero Luca Sardella o Stefania Nobile (la figlia la figlia, non quella santa donna di sua madre Wanna Marchi). O Toto Cutugno, dopo tutto ‘un italiano vero’ (quello di ‘gli spaghetti al dente e un partigiano come presidente’). Insomma, decine e decine di disgraziati come me, pronti a vendere l`intera famiglia per una battutacela e ad accoltellare qualcuno per un détournement ben riuscito, per uno screanzato straniamento alto-basso e per ficcare a forza un diavolo nell`acquasantiera. Ma qui siamo in un altro campo semantico e in un`altra area della rettoríca. E non si ricorre nemmeno a quel tratto situazionista che (consapevole o meno che ne fosse) ispirò la scelta di Riccardo Schicchi di candidare Ilona Staller nelle liste radicali nel 1987. No, qui si tratta d`altro. Magalli non è la rottura, la trasgressione, la sovversione. Non costituisce un salto epistemologico né una breccia stilistica. Giancarlo Magalli sta a pieno titolo all`interno della sequenza scandita da quei dieci nomi, indicati dai lettori del Fatto, e rispetto ad alcuni di essi rappresenta, a mio avviso, una soluzione più felice. Egli sta, del tutto legittimamente, all`interno di quel ventaglio di opzioni, rappresentandone una coerente variabile. E perché non dovrebbe essere così? La sua è una popolarità larghissima, costruita nel corso di decenni: e incarna una perfetta immagine di professionalità. Di più: di serietà professionale. Ecco, la serietà è certamente il tratto della sua immagine che più lo ha reso popolare perché quella categoria, così scivolosa e ambigua (la serietà, appunto), è tanto più difficile da definire quanto più immediata da riconoscere. Se vi capita di vedere qualche foto di scena di Magalli, ve ne potrete rendere conto. In divisa da vigile urbano o con una altissima tuba in testa, il conduttore conserva tutta intera quella sua gravità, che sembra un tratto psicologico – oso: una lieve forma di depressione – più che un atteggiamento attoriale. Ed è proprio quel fare il proprio mestiere con la più sobria compunzione che lo rende credibile e affidabile. Quando, poi, il sentimento antipolitico diventa così impetuoso, mettendo in scacco chiunque sia identificabile con le istituzioni pubbliche, è inevitabile che ci si rivolga a chi, con quelle stesse istituzioni sembra non avere a che fare. O meglio: ha a che fare, e moltissimo, con la sola istituzione che – a distanza di sessant`anni dalla fondazione – conserva tuttora una vitalità ben superiore a quella di quasi tutte le altre. Ovvero la Rai Radiotelevisione italiana. E questo conferma il tratto rassicurante dell`immagine di Magalli. Insomma, egli è la risposta ‘moderata’ alla crisi di sistema. Qualcuno al quale chiedere estraneità e non antagonismo, mutamento profondo ma non ribaltamento e, tanto meno, disordine. Dunque, una proposta comunque politica, dal momento che la sua impoliticità è destinata – nelle attese di molti cittadini – a cambiare linguaggio e logica, non ad appiccare il fuoco. Al confronto, risulta grottesco il declino di Beppe Grillo: quanto più l`ex comico si rivela ex, rovinosamente ridotto al querulo e innocuo umorismo da W il parroco, o all`urlo roco e sgraziato di un Brignano minore, una sorta di nichilista del belìn, tanto più appare come una mascherina della politica più tradizionale. Impossibilitato a qualunque ipotesi di reale rinnovamento perché troppo simile a ciò che dice di voler rinnovare (persino nell`acidità della voce) e, al contempo, troppo arruffato e arruffone. Vuoi mettere quel signore di Magalli?

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