Quattro domande e quattro risposte su quello che il Pd potrebbe fare per aiutare l’Italia a uscire dal buio e non sta ancora facendo
Reggenti, segretari, nomi evocati e bruciati. Mentre il governo prepara i primi provvedimenti sull`Imu e la cassa integrazione in deroga, la gestazione dell`assemblea nazionale del Pd di sabato non sembra promettere nulla di buono. Quattro domande e quattro risposte su quello che il Pd potrebbe fare per aiutare l`Italia a uscire dal buio. 
Nulla di buono almeno agli occhi dei gentili che, fuori dal tempio del partito, osservano preoccupati i contorcimenti dei sacerdoti. Si respira un`aria pesante. I più pessimisti mormorano: un`aria di scissione. Probabilmente, i pessimisti si sbagliano. Eppure, per quanto possa rivelarsi eccessiva nella previsione degli esiti, quest`attesa pugnace e sconsolata segnala un malessere profondo quanto irragionevole, e perciò pericoloso. Perché rischia di anticipare in una conta di pregiudizi, priva della legittimazione di un dibattito pubblico come già accadde con l`opaca ribe gli esiti di un congresso, che dovrebbe essere vero e impegnato in una profonda revisione.
 Viste da lontano quanto basta per vedere il bosco senza perdersi sui singoli alberi, le dimissioni di Pier Luigi Bersani sono la conseguenza del risultato del 25 febbraio. Naturalmente, è legittimo interrogarsi sulla campagna elettorale e sulle settimane seguite al voto, sulle tattiche per il Quirinale e sugli streaming con i grillini. Di questo si parla molto. Con l`intelligenza acuminata dei sacerdoti, che tutto rileggono alla luce fioca che filtra sotto le volte del tempio. Ma i gentili, che pure con la loro dedizione sorreggono i sacerdoti, si pongono altre domande, fuori, alla luce del sole e della vita.
 La prima è questa: perché il Pd non ha preso l`iniziativa di porre termine al governo Monti già nell`estate del 2011 e ha lasciato l`iniziativa a Silvio Berlusconi? Seconda domanda: perché, poi, non avendone preso le distanze, il Pd non si è intestato l`impegno liberale di Monti? La terza domanda: perché, ora, non avendo vinto quando doveva, il Pd si lacera sull`alleanza con il Pdl anzichè interrogarsi sulle ragioni profonde della sconfitta del 25 febbraio che hanno determinato la necessità di questa relazione peccaminosa? Quarta e ultima domanda: perché tanta parte del Pd si sente prigioniera di Berlusconi quando dal Pd e dal centro-sinistra provengono tutte le più alte cariche dello Stato, e un vasto stuolo di ministri, viceministri, sottosegretari e presidenti di commissione?
Provo da ex cronista a dare quattro risposte. La prima: il Pd non se l`è sentita di chiudere l`esperienza del governo tecnico perché ha temuto la reazione dei mercati finanziari sul debito pubblico italiano. Evidentemente, non ha saputo leggere bene e con coraggio le decisioni della Bce e le tendenze della speculazione. Le ragioni di questa timidezza? Beh, stanno nella storia dell`ex Pci e dell`ex Dc andreattiana, nella subalternità intellettuale alla Banca d`Italia, chiunque ne fosse il Governatore e nonostante le diversità tra un Governatore e l`altro.
 La seconda risposta: il Pd non si è intestato il governo Monti per tante ragioni, talvolta piccole come la discesa in campo del senatore a vita, ma anche perché l`austerità era una strada obbligata quanto sbagliata per i suoi effetti sull`economia reale in generale e sulla constituency del centro-sinistra in particolare. I sacerdoti cambiano senza ammettere mai gli errori. Perderebbero sacralità. Ma l`evo moderno nasce con Lutero e la Riforma. Terza risposta: ragionare sul 25 febbraio costringerebbe il Pd a porsi le domande di fondo alle quali tende a sfuggire, immaginando di risolvere ogni cosa con la politique d`abord. Certo, è già capitato che un tale pragmatismo abbia aggiustato le cose senza troppe ferite. Ma non capita sempre. E non è capitato questa volta, quando l`irrisolto dilemma tra liberismo e socialdemocrazia è riemerso nel fuoco della più grave recessione degli ultimi 100 anni. Quarta e ultima risposta: in una certa parte del Pd la legittima protesta contro il berlusconismo si è risolta nella riduzione a caso giudiziario del ruolo politico di Berlusconi nella democrazia italiana, un ruolo che, dati i risultati, mette in imbarazzo il centro-sinistra. L`area politica del centro-sinistra, essenziale per la tenuta del Paese, teme di rimanere contagiata dal centro-destra anziché azzardarsi a contaminarlo nel momento in cui le due aree condividono, di fatto, la critica all`austerità. Forse, lo sdegno contro il Caimano nasconde l`insicurezza davanti ai propri limiti e ai propri errori. Ma nell`Italia travolta dalla crisi globale la mera querelle su Berlusconi finisce con l`interessare una minoranza degli italiani e un centro-sinistra con tante sue persone al potere è chiamato a sfidare il centro-destra sul lavoro, lo sviluppo e la qualità della vita dei cittadini più che sulle condanne del vecchio Silvio.