Signor Presidente, colleghi senatori, era scontato che un tema come questo avrebbe provocato lacerazioni e inasprito il dibattito politico, rischiando di scadere in un’esasperazione ideologica in cui non contano più i ragionamenti, i distinguo, le mediazioni; è la stessa funzione della politica, come arte capace di leggere i fenomeni sociali e di governarli in coerenza con i bisogni più profondi della comunità e i valori che questa si è data con la sua Carta fondamentale.

Il non avere saputo cogliere i segni dei tempi da un lato ha caratterizzato fino ad oggi lo spirito di chi ha guidato la piazza di sabato scorso; l’aver acquisito la convinzione che il proprio sentire coincidesse con il sentire comune prevalente, l’aver scambiato il dovere di superare antiche e consolidate discriminazioni, offese, violenze con il fondamento di un manifesto politico volto a riscrivere i fondamenti stessi della vita sociale, additando come retrogradi sul piano civile e quindi reazionari sul piano politico tutti coloro che manifestano distinguo e/o perplessità su quel manifesto politico hanno caratterizzato l’altra piazza, riunitasi otto giorni prima.

A coloro che, con malcelato sarcasmo, utilizzano il termine “cattodem” per definire la posizione di chi, nel Gruppo del PD e delle altre forze di centrosinistra, discute su punti particolari del disegno di legge che stiamo esaminando, dico con serenità che né accetteremo di essere risucchiati in tentazioni clerico-moderate, abdicando al nostro dovere di costruire in autonomia il bene comune, né accetteremo di rinchiudere nell’intimismo delle nostre coscienze o nel segreto delle sagrestie o delle opere di carità, il nostro patrimonio politico o culturale, accettando supinamente sul piano politico l’egemonia culturale di chi cerca un nuovo rapporto con la modernità, esaltando la dimensione libertaria della storia della sinistra.

Se dieci anni fa avessimo avuto il coraggio di andare avanti sui cosiddetti DICO, non ci troveremmo oggi a dover discutere a decidere di questioni – come la stepchild adoption e il tema più generale delle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso – che sono dirimenti per ogni decisione su queste questioni.

È giunto però il momento di decidere. È giunto il momento di rispondere ad una domanda di intervento legislativo, non perché vi sono richiami della Corte di Strasburgo e della nostra Corte costituzionale; non perché bisogna colmare il vuoto che inevitabilmente la giurisprudenza, pur con tutta la sua carica innovativa, ha lasciato, ma perché c’è una domanda che sale dal Paese di riconoscere e garantire i diritti di chi ritiene di esprimere la propria affettività, la propria capacità e libertà di amare in altro modo rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione.

La necessità di arrivare finalmente in Aula a poter discutere e decidere, dopo anni di sterile dibattito e scontri ideologici – ben più di un’esigenza di disciplina di Gruppo, che su queste materie non dovrebbe neanche essere invocata o pretesa – ci ha fatto superare la perplessità, che pure, ad esempio, io ho sulla coerenza totale con il dettato costituzionale di alcuni passaggi di questo disegno di legge. Quindi, ben venga questa discussione, nonostante le forzature e le polemiche che hanno accompagnato l’incardinamento in Aula del disegno di legge, che certo avrebbe meritato un approfondimento in Commissione, se solo due anni di inutile ostruzionismo non avessero impedito una vera discussione di merito. E veniamo al merito.

Non posso non riconoscere lo sforzo della relatrice per cercare di motivare quel giudizio di moderazione e prudenza che la senatrice Cirinnà attribuisce al disegno di legge. Vi sono sicuramente in questo provvedimento il riconoscimento, la tutela di diritti, individuali e di coppia, che non si possono non condividere, coerenti con la dottrina, con la giurisprudenza, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.

Chi si dichiara contrario tout court a questo testo, senza distinguo, sulla base di un’asserita superiorità dell’articolo 29 rispetto all’articolo 2, si rinchiude in una sorta di non expedit, magari in forza delle proprie convinzioni religiose, che non fa onore né a Dio né a Cesare. Per contro, presentare questo testo come frutto di una già compiuta mediazione perché si è rinunciato al matrimonio e all’adozione, dimenticando che la Corte costituzionale ha escluso la possibilità di estendere il matrimonio alle coppie consensuali, è una forzatura anch’essa. Ma anche l’altro elemento, la rinuncia alle adozioni tout court, non è un atto offerto alla mediazione.

Se l’adozione è un istituto volto a garantire ai minori che nessuno li privi di una famiglia e se la dichiarazione di convivenza produce un’unione civile e non una famiglia, che è conseguenza solo di un matrimonio, l’adozione urta anch’esso con l’articolo 29, e la rinuncia a inserire le adozioni nel disegno di legge non è stata un omaggio allo spirito di mediazione ma una realistica presa d’atto della realtà costituzionale e dell’esigenza di evitare forzature che avrebbero compromesso l’esito del disegno di legge. Questo, quindi, non è un testo di mediazione o meglio lo è sul piano astratto, del mero dibattito culturale rispetto alle proprie posizioni e convinzioni; non lo è più nel rapporto che la legge ordinaria deve avere rispetto al quadro costituzionale, a cui deve obbligatoriamente riferirsi.

La parte del testo dedicata alle coppie omosessuali è il massimo che si può pensare di prevedere a Costituzione invariata. Bisognava forse avere il coraggio di cambiare la Costituzione. Inoltre, l’insistente equiparazione del rapporto di unione con quello di coniugio sembra immaginato al principale fine di aprire varchi per la giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché della Corte costituzionale, per affermare la sovrapposizione tra unione e matrimonio, con tutte le conseguenze del caso, anche in relazione alle questioni di filiazione‑genitorialità. È da queste considerazioni che sono stati concepiti gli emendamenti, che con altri abbiamo presentato.

Un’azione – quella di voler emendare questo testo – responsabile e difficile: responsabile, perché volta a raggiungere un risultato storico nella lotta contro le discriminazioni; difficile, perché lo scontro tra gli opposti ideologismi finisce, anche a livello di opinione pubblica, per far apparire ambigua e confusa una posizione che è invece molto chiara: favorevole alle unioni, assolutamente convinta che riconoscimento delle unioni nulla toglie alla famiglia fondata sul matrimonio; decisamente schierata contro chi discrimina le persone sulla base del proprio orientamento sessuale.

Ma tutte queste osservazioni critiche che, se prese in considerazione, avrebbero portato a un testo migliore e più largamente condivisibile anche all’interno della stessa maggioranza di Governo, non sono così dirimenti come invece lo è la questione della stepchild adoption. Altri sono già intervenuti su questo tema, in sintonia con il modo di sentire. A chi ci dice che bisogna guardare ai diritti dei bambini, a prescindere da come sono venuti al mondo, io rispondo che introdurre automatismi, come di fatto questo disegno di legge fa, tra l’essere partner di una coppia omosessuale e il poter diventare genitore di un minore figlio dell’altro è una forzatura che contrasta con lo stesso fondamento dell’adozione speciale, con la quale il legislatore ha voluto garantire una famiglia a chi ne è privo e non a soddisfare un diritto assoluto alla genitorialità, che non esiste.

Ma non nascondiamoci dietro un dito. Il contestuale diritto al riconoscimento dell’unione e all’adozione del figlio del partner apre la strada alla maternità surrogata, oggi punita solo se commessa in Italia. È un’aberrante manipolazione delle relazioni umane, in cui il corpo di una persona diventa uno strumento della soddisfazione di un bisogno, quando non di un piacere di terzi in cambio di denaro. Se è vero che la legge deve farsi carico di chi è più debole, il minore, ed è venuto al mondo con pratiche illecite, è altrettanto vero che una legge – nel nostro caso questa legge – non può diventare lo strumento per incentivare pratiche illecite, soprattutto in presenza del fatto che il minore qui considerato è già tutelato dalla potestà esercitata dal suo genitore biologico o adottivo e da norme che già permettono, in caso di necessità, di affiancare terze persone nella crescita dei minori senza per questo estendere su di loro la potestà genitoriale.

Occorre uscire dalle tenebre dell’ideologia per affrontare temi che non possono esaurirsi in un articolo di legge. Occorre riaprire il cantiere delle modifiche della legge n. 184 del 1983: curatutele, tutele, affidamenti, adozioni speciali, adozioni ordinarie, amministrazioni di sostegno hanno subito negli ultimi trentacinque anni profondi cambiamenti e adattamenti in una società in profondo cambiamento.

Occorre rimettere mano a tutto ciò, ma non si può pensare di fare questo a colpi di maggioranza o per timore di apparire poco in sintonia con l’Europa, per timore di stare con i Paesi più arretrati. Ciò magari mentre i Paesi più evoluti, presi ad esempio di una maggiore capacità di concepire, di vivere i diritti civili e di trasformarli in legge, confiscano i beni ai migranti, caricano i minori sui treni e sugli aerei, li rispediscono alle madri biologiche in Africa o in Medio Oriente, ammesso che possano accoglierli.

In tanti siamo pronti, in tempi certi e rapidi, ad affrontare il tema delle adozioni a trecentosessanta gradi, ma quanto più vedremo una reale dimostrazione di volontà di mediazione, tanto più saremo convinti, liberi e disponibili nel sostenere, nel voto finale, questo provvedimento. Mi auguro che, nei prossimi giorni e nelle prossime ore, questa attività di mediazione possa sortire un effetto positivo per tutti e per la società italiana. (Applausi dal Gruppo PD).


Ne Parlano