Adesso il passaggio si fa stretto. La più fervida fantasia non avrebbe immaginato questo esito catastrofico della cosiddetta seconda Repubblica. Era nata sulla retorica del «nuovo è bello» e muore nelle convulsioni delle più antiche pratiche eversive.
Perché di questo si tratta: un sovversivismo che, attraverso una strategia di allargamento del conflitto, va all`attacco non più del solo potere giudiziario, ma del potere esecutivo e di quello legislativo, governo e Parlamento. E non risparmia la figura di garanzia del Capo dello Stato. «Inquietante», si è detto, autorevolmente.
Questo senso di inquietudine, politica, sulla sorte delle istituzioni, va in questo particolare momento trasmesso al Paese intero, va calato nell`opinione del cittadino comune, depositato nella coscienza popolare. Ecco il compito del partito, che qui, in
questi casi, ritrova la sua funzione di raccordo tra società e Stato. Funzione indispensabile e insostituibile, se si vuole riconsegnare dignità all`agire pubblico. Va rivendicata con orgoglio, e sottolineata con forza, la differenza di qualità tra centrosinistra e centrodestra, nella situazione presente. Va segnato con nettezza il
confine tra responsabilità e avventurismo, perché tutti possano vedere. E non per liquidare subito, domani, un accordo di governo. Ma per intervenire con l`iniziativa sul campo avverso, perché esplodano le sue contraddizioni interne. È vero che c`è lì dentro una «minoranza silenziosa», come sottolineava ieri Massimo Franco sul Corriere. Tutti sanno, lo sanno i firmatari dei prestampati, lo sa il plurimputato in
attesa di ulteriori condanne definitive, che il destino del personaggio è segnato. La rabbiosa reazione di questi giorni nasce da questa consapevolezza.
Il campo della sinistra deve mostrare misura e determinatezza. Niente cedimenti ma anche nessuna ordalìa, nessun giudizio di Dio. Le sentenze si rispettano, ma anche la persona, qualunque persona, nel dramma che vive in quel determinato momento
della sua vita, va rispettata. La morte in esilio di Craxi, un personaggio
divenuto un duro avversario, che tutti abbiamo dustamente contrastato non  è un buon ricordo repubblicano. Il presidente Napolitano ha richiamato molto questa categoria del rispetto, rievocando una figura di intellettuale coinvolto in politica, come quella di Luigi Spaventa. L`ha legata alla
rivendicazione di un confronto politico civile. Mi ha colpito la commozione del
presidente, quando richiamava altri tempi in cui questa civiltà del confronto non era mai venuta meno, pur in mezzo a contrapposizioni che, misurate con quelle di oggi,
apparivano ed erano persino più severe e profonde. Nella maledetta prima Repubblica novecentesca, questa era la norma condivisa, e mai veniva superato il limite della rispettosa reciproca considerazione tra le grandi forze politiche e soprattutto nei confronti del comune terreno istituzionale.
Questo discorso mi permette di avanzare una raccomandazione. Approfittiamo di questo passaggio stretto per allargare lo sguardo. Se sarà dato tempo – e in queste ore francamente non lo sappiamo – a un dibattito congressuale disteso in un
tempo sia pur breve, e sulle idee più che sulle persone, andrebbe avviata
una seria, argomentata, approfondita riflessione sulle premesse storico-politiche che hanno portato a questo esito minaccioso e destabilizzante. È urgente una rivisitazione del ventennio berlusconiano, a partire però dalle cause vere che lo hanno reso possibile: dal dopo `89 ai primi anni Novanta, dalle scelte della sinistra di allora, e del cattolicesimo democratico di allora, dalla dissoluzione dei grandi partiti, dalla involuzione istituzionale, che nell`illusione di una semplificazione dei canali del consenso attraverso l`elezione diretta di tutto quello che c`era da eleggere, ha provocato quella crisi di rappresentanza della società da parte della politica, che sta davanti a noi come uno spazio vuoto da riempire con intelligenti riforme dello Stato e dei partiti.
E qui bisogna essere chiari. Non si può ridurre la complessità della domanda
sociale, in una società frantumata comprendente una molteplicità selvaggia di figure di lavoro e di figure bipolarizzate tra privilegio e miseria, di sensibilità umane cresciute nell`acculturazione di massa, di bisogni negati e diritti sovraeccitati, non si può rappresentare questo multiverso di nuovo popolo nella semplificazione di un nome sulla scheda, di una faccia sui manifesti, di una personalizzazione sul messaggio. Non basta quanto abbiamo visto in questo ventennio, non è sufficiente lo sfascio che si è procurato con questo sistema? Provaci ancora, Sam, magari da quest`altra parte? No, ci vuole un soggetto politico, che aderisca con la sua struttura
organizzata a tutte le articolazioni di questo corpo sociale complesso, tanto più dentro una crisi che lo ha fatto emergere a coscienza, coscienza ancora confusa, elettoralmente ondivaga, perché non più orientata, non più diretta, non più appunto
politicamente rappresentata. La sinistra non soffre per difetto di consenso, soffre per difetto di classi dirigenti, non perché non sa comunicare, ma perché non ha niente
da dire, perché è stata svelta a buttar via le idee del passato e altrettanto svelta ad andare a prendere le idee del presente dal vocabolario dell`avversario di classe. E la parte di società che si riconosceva in essa non l`ha più riconosciuta. Farsi
riconoscere autorità dalla propria parte è la condizione per meritare il rispetto della parte opposta, conquistando così pezzi del suo consenso. Una nuova generazione
vuole cimentarsi in questo esercizio di alta politica? Ottimo. Vigileremo.
P.S. Accade qualcosa di simile, sempre, quando non si tiene in pugno la prospettiva, si lasciano andare le cose, si segue la corrente, quando si crede, e si fa credere, che il buono viene dal senso comune e il cattivo dal buon senso.