Dunque, non è ancora finita. E la strada verso l`uscita è ancora lunga, impervia, scivolosa: perché la
percezione del pericolo si è affievolita, perché diciamola tutta, di contrasto alla mafia si ha sempre meno voglia e perché in fondo quella sua nuova veste, in giacca e cravatta, fa meno paura e si diffonde a macchia d`olio tra uomini e donne uguali a noi, amici e compagni di scuola che nascondono frequentazioni ambigue e pericolose dietro l`ipocrita inconsapevolezza formale dedotta da un casellario giudiziario ancora vergine.
Ma c`è un punto, che è appunto il punto della questione: la nuova mafia para meno di un tempo perché, generalmente, trova più conveniente la pace. Quando vuole, quando lo ritiene necessario e utile, ricorre però ai metodi delle origini e torna a uccidere. Ha provato a farlo la scorsa notte in Sicilia, attentando alla vita di Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi, e alla sua scorta. Ha provato, e non è riuscita per un soffio, perché da quelle parti i pascoli sono ancora Cosa Loro. Chi ci ha provato non ha lesinato né sulla potenza di fuoco né sulla determinazione, facendo prevalere l`importanza dell`obiettivo sulle necessità dell`inabissamento. La mafia, dunque, avendo ricevuto da Antoci solo rifiuti e denunce, è tornata a mostrare il suo volto più riconoscibile, il più feroce e temibile, quello che aveva malamente coperto con la maschera dell`imprenditoria.
Saliamo di qualche centinaio di chilometri, arriviamo in Campania e troviamo uno scenario simile in tutto a
quello siciliano. E non sto parlando della guerra della “paranza dei bambini”, dei morti quotidiani immolati sull`altare del controllo delle piazze di spaccio. Parlo dell`altro fronte, quello dell`offensiva contro i magistrati partita in simultanea da vari fronti e vari clan, soprattutto quelli casertani: vogliono morto il capo della Procura, Giovanni Colangelo; ma anche Cesare Sirignano, oggi alla Direzione nazionale antimafia, e Alessandro D`Alessio, la toga che ha raccolto l`eredità di Raffaele Cantone sul fronte della camorra del litorale. Gli attacchi sono personali, diretti, documentati dalle intercettazioni. E arrivano da cuore dei clan, dai capi detenuti. Che forse non lasceranno mai più la cella singola del 41bis ma che all`esterno, a casa, hanno i figli ai quali hanno lasciato le consegne per la ripresa della guerra. Molti hanno già seguito le orme dei padri ma sono prossimi alla scarcerazione o sono appena usciti. E hanno fame, di soldi e di potere necessario a fare altri soldi, per rimpiazzare i patrimoni confiscati.
Ora che si è abbassata la guardia, ora che sta riprendendo quota la morale flessibile che prima della “rivoluzione Falcone” consentiva di spezzettare gli indizi e di assolvere i mafiosi, non si può non accorgersi dell`aria pesante che si respira, soprattutto al Sud. Aria di rivalsa e da resa dei conti, la zampata della fiera `ferita ma ancora viva. Non vedere è pericoloso, non capire significa spalancare le porte a una nuova stagione di sangue. E a una probabile sconfitta.


Ne Parlano