“È inammissibile che un presidente del Consiglio si auguri il fallimento del referendum. Ho già detto che noi Ds sbagliammo nel 2003 a sostenere il non voto al referendum sull’estensione dell’art. 18 alle aziende con meno di 15 addetti. Dovevamo avere fiducia nelle nostre ragioni”.
Lo scrive il senatore del Pd Vannino Chiti in un articolo sull’Huffington post.
“Sono però passati 13 anni”, aggiunge l’esponente dem. “È peggiorato il rapporto di fiducia tra cittadini, politica e istituzioni. Saremo credibili tra qualche mese quando con disinvoltura parleremo della bellezza e del dovere di partecipare, chiedendo ai cittadini di andare a votare?
Il Pd doveva fondarsi su una discontinuità politica, il cui asse principale è rappresentato dalla partecipazione. I cittadini che guardano a noi devono esprimersi solo sulle persone, attraverso le primarie oppure anche sulle politiche? I programmi, in caso contrario sarebbero riserva di pochi eletti, poi benevolmente affidati al plauso degli yes men.
Incredibile e segno della crisi profonda delle classi dirigenti locali mi appare il balbettio di gran parte dei presidenti delle Regioni. Solo Emiliano, la cui Regione è una delle promotrici, e Rossi si sono assunti la responsabilità di una presa di posizione e di un invito a votare.
Gli altri serbano un rigoroso silenzio. Qualcuno, come il presidente della Basilicata, si scusa, si dice turbato perché il referendum assume un valore politico. È vero, non riguarda i centimetri di lunghezza dell’erba delle aiuole.
È preoccupante l’attitudine che sembra prendere il sopravvento, per la quale un presidente di Regione non risponde in primo luogo al proprio Consiglio, ai cittadini che lo hanno eletto, ma è soprattutto interessato ad una attenta collocazione all’interno del proprio partito, ad un’estrema cautela nelle prese di posizione autonomistiche”.