Con gli anni è cambiata anche la natura dei fenomeni
mafiosi. Ora gli imprenditori mafiosi sono veneti, con cognomi veneti». Analisi lucida e per questo preoccupante, quella di Andrea Ferrazzi, senatore veneziano del Pd,  vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie e componente della Commissione parlamentare d`inchiesta su banche e finanza. Il parlamentare dem ci tiene a specificare: «La maggioranza dei veneti è gente corretta e dedita al lavoro». Sono gli ultimi anni di inchieste della Direzione distrettuale antimafia a suggerirgli questa sintesi che potrà apparire brutale ma che delinea una situazione vera, preoccupante, che va capita e introiettata. “Una regione a rischio metastasi mafiosa”, l`ha definita il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri in un`intervista ai giornali veneti del gruppo Gedi.

 

Senatore, dal suo punto di vista privilegiato condivide l`opinione di Gratteri?

«Assolutamente. C`è uno stretto rapporto tra mafiosi diciamo “originari” e un nucleo di imprenditori professionisti veneti che fanno da, collettore e ragionano in maniera mafiosa».

Dunque lei pensa che questo sistema malato sia ormai incistato nel tessuto sociale della regione?

«Ci sono due tipologie di imprenditori: quelli che pensano di fare affari strutturalmente e, di conseguenza, accettano il rischio e i vantaggi; poi ci sono quelli che si illudono pensando di riuscire a togliersi in qualsiasi momento».

Sempre imprenditori, quindi?

«In realtà c`è un altro livello: quello delle pubbliche amministrazioni, con i pubblici appalti dati per chiamata diretta».

Ma i veneti riconoscono questa situazione?

«Serve un salto di qualità nella consapevolezza. Non possiamo più mettere la polvere sotto il tappeto. Vanno unite le forze pulite: economia, lavoro, associazionismo. Bisogna fare fronte comune».

Tutto condivisibile, ma come?

«Bisogna potenziare le procure antimafia, rinforzando la squadra dei magistrati ma anche la struttura burocratica. Poi bisogna aiutare l`azione investigativa e repressiva con un lavoro interforze. È necessario accompagnare il lavoro della Direzione investigativa antimafia nella logica della banca dati unitaria delle forze dell`ordine. La lotta ai fenomeni mafiosi è lotta economica e quindi bisogna avere strumenti per analizzare questi flussi. Uno degli elementi cardine è l`unificazione delle banche dati. Poi, dal punto di vista politico, va incrementato il lavoro delle commissioni».

Quando si parla di droga, si dice che il problema non sono solo gli spacciatori ma anche i clienti. Non è che in Veneto il sogno del guadagno facile sia un po’ troppo diffuso?

«Tutti gli imprenditori devono stare molto attenti a queste lucciole. Il guadagno facile non esiste. Produce una redditività spropositata perché si gioca sporco. Serve una rivoluzione culturale per far capire che non conviene. Non ci sono scorciatoie. E poi serve una pubblica amministrazione snella e veloce che non metta in difficoltà chi vuole fare impresa ed economia».

Ma il cambio culturale come può avvenire?

«Con il lavoro nelle scuole, instillando coscienza, educazione civica, capacità di denunciare. Le mafie sono un fenomeno complesso, vanno date risposte articolate».

Le banche hanno stretto i cordoni della borsa e non garantiscono più credito agli imprenditori. Può essere questa una causa della diffusione dei capitali mafiosi a Nordest?

«Quello delle banche venete è stato uno scandalo, oltre che una vergogna. Bisogna creare un sistema bancario forte in Veneto, che sia in grado di garantire il finanziamento per le imprese. Un tessuto economico produttivo forte ha bisogno di un sistema finanziario altrettanto forte. Se manca uno, manca l`altro. Se manca la finanza, manca il sostentamento alle imprese».

Un obiettivo però non semplice da raggiungere.

«Il modello del Nordest è in grandissima crisi. Recentemente sono stato ospite di Assindustria Venetocentro e della Fondazione Nordest. Le relazioni delineano un quadro preoccupante. I giovani competenti se ne vanno, mentre Emilia Romagna e Lombardia hanno un delta positivo. Se andiamo avanti così non abbiamo futuro».

Si parla tanto di infiltrazioni mafiose ma, per esempio pensando al Mose, non è che gli amministratori autoctoni abbiano dimostrato molta rettitudine.

«C`è un libro che si intitola Corruzione a norma di legge, l`hanno scritto Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri. Lo presentammo insieme al procuratore Saverio Pavone. Credo illustri al meglio la situazione della nostra regione».

 

 


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