Andrea Marcucci non ha alcun imbarazzo a sgomberare il campo dagli equivoci. Presidente del gruppo Pd nell’assemblea di Palazzo Madama fino al marzo scorso, è insieme a Luca Lotti e Lorenzo Guerini il riferimento di Base Riformista. E all’interno della componente riformista è l’uomo che ha meno timori nella disamina che sa fare della santa alleanza tra dem e Cinque Stelle. Non a caso a margine dell’Assemblea di Confindustria è stata sua la voce più forte tra i Dem nel sottolineare il ruolo di Draghi, insieme con il wishful thinking degli industriali: «Come Bonomi – aveva detto – anch’io penso che chiunque metta a rischio l’operato del governo, faccia un danno all’Italia. Il Pd deve risolvere il proprio latente dibattito interno e fare totalmente sua l’Agenda Draghi». E per farlo sposa «lo scenario che vuole Draghi a Palazzo Chigi anche dopo il 2023, cosa che coincide con l’interesse del Paese». Uno scenario che consolidando il dialogo trasversale, ridimensiona il peso dei pentastellati così come dei leghisti, due soggetti che a lungo hanno soffiato sul fuoco di una malintesa giustizia, portata avanti a colpi di manette, di complotti, di operazioni giudiziarie spregiudicate e – accerta oggi la sentenza della corte d’Assise di Palermo – del tutto destituite di fondamento. Parla al Pd, a una settimana dal voto che lo vede in diverse città affiancato al M5s, per rivolgergli un richiamo chiaro, quasi un ultimatum: «Dalla sentenza di Palermo una lezione chiara, i garantisti stiano con i garantisti, non c’è spazio per chi fa giustizia spettacolo in piazza».

Finisce un’epoca di 25 anni di narrazione, smontata dalla sentenza che ribalta tutto.

<Direi che quella della Corte d’Assise di Palermo è una sentenza che mette in risalto alcuni guai insostenibili della nostra giustizia. Penso in modo particolare alla lentezza e farraginosità delle inchieste e dei processi, che spesso alimentano un clima da vera e propria caccia alle streghe. Mi pare invece che i gradi di giudizio funzionino e riescano ancora a smontare i teoremi.>

Anche su questo le riforme sono urgenti, a partire dal nuovo processo penale. La giustizia è tale se ha tempi giusti.

Il problema, come le dicevo, è infatti che quando i processi durano una vita, finirci in mezzo è un destino da non augurare a nessuno.

Chi ha avuto interesse a distrarre l’opinione pubblica?

<Agli uomini delle istituzioni è stato restituito l’onore mentre i mafiosi sono stati condannati. Chi distrae l’opinione pubblica è costantemente sotto gli occhi di tutti, un circuito perverso tra procure e gruppi editoriali, che spesso agiscono per interessi che esulano completamente da ciò che si discute nei Tribunali.>

Ci sono responsabilità anche politiche? Una parte del consenso MSs ha giovato di questa narrazione?

<La storia recente ci dice che il M5s ha spesso soffiato sul fuoco, ed ancora oggi ha posizioni sulla giustizia che a me lasciano molto perplesso. Su altri temi hanno cambiato idea radicalmente in poco tempo, si pensi all’europeismo. Chissà che non avvenga anche sulla giustizia?>

E’ un tema sul quale vanno rivisti i paradigmi della politica, o no?

<È certamente un tema talmente importante, quello della giustizia, che spero che per il Pd sia un metro di valutazione per le alleanze: i garantisti devono stare con i garantisti.>

Siamo alla fine di un’epoca, al trionfo della verità?

<Sarei meno ottimista, la politica deve incidere ancora profondamente per risolvere vizi storici. Ho un giudizio positivo delle prime riforme della ministra Cartabia, ma ci sono ancora tante altre cose da fare>.

Ci sarebbe da chiedere le scuse ai narratori del grande complotto…

<Mi accontenterei se alcune testate giornalistiche imparassero dal processo di Palermo a essere più caute nel somministrare sentenze di condanna nelle pubbliche piazze.>


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