Un paio di domande sulla situazione politica: avrà letto i commenti di Roberto Speranza sui giornali in cui chiede il congresso del Partito Democratico sulla vicenda di Verdini. Cosa pensa della richiesta dell’onorevole Speranza?
Trovo la polemica di Speranza assolutamente incomprensibile. Abbiamo votato e approvato in una condizione difficilissima una legge che dà il riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali e alle unioni civili, dopo tantissimi anni di vuoto e in cui ci si provava senza riuscirci. Credo, quindi, che sia il momento di festeggiare un risultato che era presente nel programma elettorale del PD e che molte persone attendevano da tanto tempo.
La polemica è, dunque, assolutamente autoreferenziale e pretestuosa. Abbiamo votato con la fiducia un provvedimento, la maggioranza aveva i numeri anche da sola, si sono aggiunti i voti di ALA e credo che questo non comporti alcun problema, nel senso che quando una legge è giusta, se la votano in tanti, dovremmo essere contenti.
Non ci sono messaggi sul fatto che Verdini sia entrato nel Governo: sono appena stati nominati viceministri e sottosegretari e anche le Presidenze delle Commissioni e non ci sono esponenti di ALA.
Non c’è voto di scambio?
Non solo non c’è voto di scambio ma non c’è neanche alcun ingresso di verdiniani in maggioranza e credo che, se vogliamo bene alla politica, dovremmo abituarci a guardare al merito delle questioni. Qui si è votata una buona legge, a prescindere dai nomi e cognomi di chi l’ha votata.
Per usare metafore che girano in questi giorni, Rosy Bindi ha detto che i voti della ‘ndrangheta puzzano. E i voti di Verdini pure o no?
Verdini è un parlamentare e vota quello che vuole e fa le sue scelte. Il problema si porrebbe nel momento in cui Verdini chiedesse di entrare in maggioranza e il PD accettasse ma mi pare che questo tema non sia all’ordine del giorno, così come hanno dichiarato tutti i dirigenti del PD.
Comunque, se i voti di Verdini puzzano, puzzavano anche prima quando votava la fiducia al Governo Letta o al Governo Monti.
Lei ci andrebbe a cena con Verdini?
No.
Perché?
Perché credo di non aver niente da condividere con Verdini.
Veniamo a Milano: Parisi ha lanciato la sua campagna elettorale e ha scelto il colore giallo. Da attivista politico e anche volontario quale è lei, cosa le comunica il giallo?
Non credo che il problema sia il colore, se mai il clima generale in cui è nata quella candidatura che è un po’ anni ’90, vintage, con lo sguardo rivolto all’indietro e anche un po’ distante da Milano perché il candidato sindaco è un romano, la capolista di Forza Italia è bresciana. Penso che si guardi agli anni ’90 anche perché mi pare che la squadra che si sta raccogliendo intorno a Parisi, da Maurizio Lupi a Formigoni, Albertini, rimandano ad una giunta del passato e di una storia politica che non solo è passata ma è stata anche sconfitta.
 
Veniamo al tema della ‘ndrangheta. Abbiamo lanciato un sondaggio e dai risultati è emerso che lo Stato c’è, le indagini si fanno e i cittadini lo percepiscono per i molti arresti e confische dei beni che avvengono. Quello che però sembra il percepito, non la realtà dei fatti, è che la ‘ndrangheta si sia insediata nelle istituzioni e nel potere. La stupisce questo dato?
No, non mi stupisce. È evidente che i fatti che riguardano le infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle istituzioni sono fatti eclatanti e sono quelli che l’opinione pubblica vede di più e su cui c’è una sfida alla politica. Abbiamo bisogno di alzare le barriere contro le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni.
A mio avviso, ciò che manca, soprattutto al Nord, è la percezione di quanto la ‘ndrangheta si sia insediata nell’economia legale e, per fare questo, i criminali non hanno bisogno della politica o delle istituzioni e non hanno bisogno neanche di sparare, quindi, non si ha nemmeno una percezione della pericolosità del fenomeno.
I dati, oggi, dicono che c’è un insediamento molto preoccupante della ‘ndrangheta dentro l’economia legale.
Il sondaggio, però, dice che la popolazione percepisce la ‘ndrangheta come molto potente e con un potere assoluto.
La percezione della pericolosità è importante ma io penso che sia meno percepito nel modo in cui oggi la ‘ndrangheta agisce e opera. Anche la scelta che ha fatto la criminalità organizzata di ridurre al minimo le azioni “militari” poi si traduce nella non percezione da parte dell’opinione pubblica della pericolosità reale della ‘ndrangheta. I miliardi che derivano dal traffico di stupefacenti o da altri traffici illeciti che vengono introdotti nell’economia legale costituiscono un problema per la nostra convivenza e per la nostra democrazia.
Su questo, credo che il movimento antimafia debba fare molto di più. Bisogna capire cosa sta succedendo perché, mentre arriva subito l’infiltrazione delle istituzioni (a cui contribuisce anche la scarsa credibilità che ha la politica), non arriva quello che oggi è il fenomeno più significativo e più pericoloso. Ci sono molti libri sul tema ma non basta.
Sono passati quasi 11 anni dal delitto Fortugno. Alla mattina dell’omicidio di Fortugno ci fu un vertice di ‘ndrangheta a Reggio Calabria, i processi accertarono che non parlarono di questo, però, di quella mattina non ci sono gli audio e i video perché si trovavano in una zona aperta in cui è difficile mettere i microfoni direzionali. L’opinione pubblica, tuttavia, è convinta che su quel vertice si dovrebbe fare chiarezza e Di Lello, della Commissione Antimafia, ha dichiarato che si potrebbe fare un’audizione sul caso, visto che all’epoca non venne fatta. Lei cosa pensa?
Un’audizione di chi?
La polizia e gli investigatori, i protagonisti di allora che ipotizzarono che in quel vertice si sarebbe potuto parlare di Fortugno. Non può essere utile?
Può essere utile ma sono convinto che se gli investigatori avessero avuto elementi, questi sarebbero entrati nel dibattimento processuale.
Su questa vicenda resta il dubbio che si tratti di un crimine di stampo mafioso. Credo, però, che dobbiamo attenerci alla verità processuale.
Ho fiducia in quella Procura della Repubblica e in quegli investigatori: lavorano in una terra molto difficile.
Credo, quindi, che al momento dobbiamo attenerci alla verità processuale, se poi emergeranno ulteriori elementi, affronteremo la questione.
L’Antimafia dovrebbe fare di più sulla ‘ndrangheta; la Commissione è anche stata in Calabria ma non ha il taglio giusto: se c’è un problema di ciò che viene percepito è perché servono anche più occasioni di riflessione sul fenomeno.
Non credo che il tema da approfondire sia la Calabria. La Commissione Antimafia è spesso in Calabria ma lì non c’è un problema di percezione: c’è un potere criminale devastante in alcuni luoghi come Platì, San Leo e altre realtà. A Reggio Calabria c’è, invece, un risveglio dell’opinione pubblica, c’è anche qualche fenomeno di pentitismo, qualcosa si muove. Però, il punto non è indagare sulla Calabria – di cui già si sa moltissimo – ma conoscere com’è l’insediamento ‘ndranghetista al Nord e questo è anche ciò che ha cercato di fare la Commissione Antimafia in questi due anni. Per questo lavoriamo insieme all’Università di Milano e ci sforziamo di spiegare il fenomeno perché, come dimostra l’inchiesta Aemilia, c’è una volontà e una capacità forte da parte della criminalità di insediarsi nell’economia privata e dove ci sono i soldi che non trova contrasto.


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