L’Europa precipita in una crisi al buio, grave e senza precedenti: il giorno della dichiarazione unilaterale di Vladimir Putin sull’Ucraina, dopo il riconoscimento delle due repubbliche del Donbass, mi trovavo a Bruxelles, impegnata neilavori del primogiorno dell’assemblea parlamentare della Nato. I primi lanci diagenzia sul discorso del presidente russo sono arrivati verso sera, abbattendosi sulla platea come dardi,e sollevando sgomento e preoccupazione. Ho vissuto questo drammatico cambio di clima,dunque,non con la prospettiva e lo sguardo di chi vive in Italia, ma avendo al fianco parlamentari rumeni, ungheresi, polacchi, bulgari,e dei Paesi baltici:rappresentanti di Paesi direttamente confinanti con l’Ucraina, o coinvolti nello stesso teatro regionale.
Il secondo giorno, a dirigere i lavori c’è un democratico americano. La prima parte delsuospeech,dedicata alla crisi,èsegnata da grande preoccupazione e grande fermezza. La ascoltiamo in silenzio, con attenzione.Tutti – in quelle ore – percepiscono comegrave il passo di Putin,condividono la volontà di rispondere alla minaccia. Di cosa si parlava,in questa sede europea, sotto le insegne della Nato,dopo quel discorso? Di «sanzioni proporzionate» e di dissuasione diplomatica.Della necessità di rispondere senza tentennamenti ad un arbitrio senza precedenti. Ma la domanda che mi facevo io, mentre ascoltavo queste valutazioni e condividevo queste preoccupazioni,era un’altra: perché proprio ora? Perché la Russia rompe un equilibrio che- nel bene o nel male- era tale dal 2014?
Non si può rispondere in maniera adeguata a Putin,se non si scioglie questo interrogativo,se non si ricostruisce quel che è accaduto in questi anni. Tutto inizia a Kiev nel 2014,con le dimissioni di un presidente filo-russo,Viktor Yanukovich. E proseguecon un primo atto di occupazione illegittimo, quello con cui Putin si prende la Crimea. La crisi, dunque, non è prodotta solo da un conflitto politico ma da un sentimento più profondo che attraversava (e attraversa) la maggioranza del popolo ucraino: un desiderio esplicito di entrare in Europa. Dietro questa parola d’ordine, che ha acceso i cuori ai tempi della cosiddetta “rivoluzionearancione”, c’era qualcosa di più. L’adesione, quasi istintiva, a un modello politico: quello della democrazia liberalee rappresentativa in contrapposizione alla “democratura” dei regimi fondati sul carisma di un uomo in cui tutte le istituzioni assecondano il potere di un solo leader.
Se non si coglie questo bivio,non si capisce cosa sia davvero in gioco oggi. Ecco perché,nella strategia militare di Putin, nel riconoscimento delle repubbliche separatiste, nelle truppe ai confini tra Bielorussia e Ucraina c’è un sopruso inaccettabile: l’idea che i confini dell’Europa si possano ridisegnare con un esercito.
E questa la pretesa che non possiamo accettare: perché una volta che ti pieghi alla logica della potenza, dove ti puoi fermare?
In questa strategia c’è un elemento che è allo stesso tempo anacronistico e pericoloso: una nostalgia dell’Impero,della Grande Russia e una volontà di tornare ai codici e alla brutale logica di realpolitik della Guerra Fredda. La sua idea di nuova contrapposizione geopolitica Putin l’ha messa nero su bianco, scritta nello scambio di lettere con Usa e Nato sulla crisi ucraina(che,fra l’altro, in modo molto irrituale, sono state rese pubbliche).Putin vorrebbe tornareaiconfini della Nato precedenti alla dissoluzione dell’Ursse porre un veto alla possibilità dell’Ucraina di farne parte.Una pretesa irricevibile.
Putin non immagina la Russia come uno Stato tra gli Stati, ma come una potenza che discute con legrandi potenze passando sopra la volontà delle altre nazioni: inaccettabile.
Noi europei,dunque,dobbiamo immaginare una strategia opposta: restituire centralità all’Europa, evitare ogni divisione. La Germania interrompe il North Stream 2 e le prime sanzioni finanziarie sono state già deliberate. Non so se la Russia vorrà acuire ulteriormente la crisigià in atto ed è difficile prevedere leazioni di chisi muove su una logica completamente differente dalla nostra. Ma mi pare che queste mosse stiano provocando effetti opposti ai desiderata.
Putin credeva, in questo momento, di trovare un Occidente più debole, più diviso. Ha valutato che il ritiro dall’Afghanistan avesse indebolito l’Alleanza Atlantica e che la crisi energetica aumentasse il suo peso contrattuale. Ma forse ha sbagliato valutazioni. La coesione è forte e si è rinsaldata. Molte mosse di Putin in passato sono state brutali ma tempestive.Oggi, invece, forse per la prima volta,il leader russo è isolato e solo. Almeno in Europa e in Occidente.


Ne Parlano