“La discussione di questo disegno di legge ci obbliga a tracciare un bilancio, ad un anno e una decina di decreti legislativi dall’approvazione della delega fiscale, sulla” rivoluzione fiscale” annunciata dal Governo un anno fa. Una povera idea di rivoluzione.
I decreti legislativi che abbiamo potuto esaminare, invece, contribuiscono a peggiorare un sistema fiscale che già soffriva di un grave dualismo tra contribuenti assoggettati al pagamento dell’Irpef e contribuenti che possono optare per regimi separati, cedolari, o flat tax.
Non si può tacere, a questo proposito, dei continui inciampi in cui è incorso il concordato preventivo, misura simbolo della delega. Ma si è capito presto, come ci hanno spiegato anche i professionisti del settore, che lo strumento era a rischio fallimento. Infatti i contribuenti infedeli non sono sembrati attratti dal concordato, anche per l’allentamento di pene e sanzioni contenuto negli altri decreti, mentre quelli con alta affidabilità fiscale non vedono vantaggi dall’adesione. Così il governo è stato costretto a proporre dei correttivi e vedremo in autunno con quali effetti.
Non era troppo difficile un anno fa, quando l’aula del Senato ha approvato la delega fiscale, prevedere che ci saremmo trovati oggi a prorogare i termini per l’adozione dei testi unici. In quella delega, infatti, erano state definite due differenti scadenze: una, relativa all’effettiva adozione dei decreti di attuazione della legge delega, il cui termine temporale era – come è noto – di 24 mesi; l’altra, relativa all’emanazione dei testi unici, per i quali, invece, i termini richiesti erano stati molto più brevi, cioè, 12 mesi.
Avevamo segnalato l’incongruenza tra un limite temporale di 24 mesi per l’emanazione dei decreti attuativi e un limite di soli 12 mesi per l’adozione di testi unici. Non siamo stati ascoltati: eppure, vi abbiamo segnalato una questione che non aveva niente a che fare con una partigianeria politica, ma era semplicemente di buonsenso.
Quindi, il nostro voto è contro la proroga, perché non possiamo accettare questo modo di fare, che è profondamente squalificante per la storia e per il prestigio del Parlamento, e poi perché la legge delega rimane ingiusta e iniqua”. Così la senatrice Cristina Tajani, capogruppo Pd in commissione Finanze a Palazzo Madama.