Tocci, lei ha presentato le sue dimissioni da parlamentare ma Renzi ha appena detto che cercherà di convincerla a ripensarci, perché «la sua intelligenza, la sua passione e la sua competenza sono necessarie a un partito che ha il 41 per cento dei consensi». Ci ripenserà?
 
«Le sue parole sono state un gesto molto importante, per me. Questo è il Renzi che ci piace. Le devo confessare però che avevo già pensato in un`altra occasione di dimettermi dal Senato».
E quando è successo?
 «Questa estate, durante la discussione sulla riforma del bicameralismo. Mi ferirono le parole di Renzi, che diceva: stanno difendendo la loro poltrona».
Perché non lo fece?
 «Perché ho una grande ritrosia a stare sotto i riflettori e per me non è facile neanche fare questa intervista: sono tanti anni che non ne rilascio una».
E perché stavolta, invece, ha deciso di firmare la lettera di addio al Senato?
«Intanto perché le cose si accumulano. E poi perché credo che il diritto del lavoro sia oggi la questione più importante, in Italia. Questa legge delega guarda indietro, abbassa l`asticella dei diritti dei lavoratori anziché alzarla. Di fronte alla richiesta della fiducia, mi sono trovato in un conflitto tra responsabilità e coerenza. E ho preso la mia decisione: voto sì, ma mi dimetto».
 A qualcuno però la sua è sembrata una mossa furba: con il voto ha evitato di rompere con il partito, con le dimissioni salverà la coscienza ma anche il seggio perché il Parlamento non ha mai accettato dimissioni di un suo membro motivate da dissenso politico…
«La mia lettera di dimissioni sarà sottoposta all`aula con una votazione segreta. Mi sembra una scelta molto netta, quella di mettere a rischio il mio mandato parlamentare senza preoccupazioni. Comunque vada, io accetterò qualsiasi verdetto».
Ma se l`aula respingerà le sue dimissioni, lei resterà comunque nel gruppo del Partito democratico?
«Io non mi sono dimesso dal Pd. E comunque da qui a quel giorno faremo tutti le nostre valutazioni. Avremo tempo per pensarci. Ma io oggi mi sento membro del Partito Democratico. Soprattutto dopo quello che ha detto Renzi».
I suoi colleghi Casson, Mineo e Ricchiuti invece non hanno votato la fiducia. Ma se ogni senatore, di fronte al voto di fiducía, decidesse come gli pare, i gruppi parlamentari potrebbero anche scioglierli. O no?
«So che Renzi segue con passione la serie ‘House of Cards’ , e dunque saprà che il presidente degli Stati Uniti va spesso a convincere i parlamentari che hanno opinioni diverse da quelle del partito. Se andiamo verso quel sistema, poi dobbiamo anche accettare un rapporto diverso tra chi governa e chi rappresenta gli elettori».
C`è un piccolo particolare: li c`è il presidenzialismo, non un regime parlamentare nel quale il governo si regge sul voto delle Camere. Nessun voto del Campidoglio potrà mai destituire Obama. In Italia non è così.
«Ma nell`attuale quadro istituzionale è possibile anche una presa di posizione diversa. Succedeva anche nei vecchi partiti».
I quali poi però prendevano sanzioni severissime, verso chi rompeva la disciplina di partito sul voto di fiducia.
«Mi sembrerebbe assai strano che nel Pd, dove ormai ha vinto l`idea che la vecchia cultura dei partiti italiani sia da archiviare, e io sono d`accordo, poi qualcuno pensasse di salvare, del vecchio modello, proprio la disciplina. Vede, il governo ha chiesto una legge delega che su alcuni punti fondamentali è una delega in bianco, e impedisce al Parlamento di precisare i contenuti della delega. Questo è il contesto e non si può prescinderne».

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