«Il partito del Paese». Così il senatore veltroniano Giorgio Tonini, membro della segreteria Renzi, definisce il Pd per come si sta trasformando.
Cosa intende con questa definizione?
«È un modo suggestivo per definire la vocazione maggioritaria. Per definire un partito che esce dai confini storici della sinistra italiana con l`ambizione di competere per avere la maggioranza. Di fatto, le ragioni di fondo per cui è nato il Pd».
 Nella minoranza del partito però si teme di mettere insieme di tutto e annacquare le ragioni della sinistra…
«Negli angusti confini della sinistra tradizionale non c`è di tutto, ma a volte non ci sono le cose che dovrebbero esserci: alle elezioni del 2013, il Pd è stato il terzo partito tra gli operai. Nel 2014 siamo il primo. Il Pd che vogliamo è quello dove non stanno solo gli intellettuali e i dipendenti pubblici, ma anche quelli che stanno sul mercato, un pezzo di mondo che ora finalmente ci guarda con interesse».
Dal punto di vista organizzativo non è un problema il fatto che siano calati i vostri tesserati?
«L`idea del partito delle tessere è in declino in Europa da decenni. Noi abbiamo immesso in quel corpo stanco il sangue nuovo delle primarie, che hanno ridato linfa facendo apparire vecchio il modello del partito mediatico di Berlusconi. Ora, certo, le tessere più sono e meglio è, ma fondamentale è che siano iscritti veri, a cui offriamo anche un percorso nel partito e che fanno da elemento catalizzatore del popolo più vasto dei nostri elettori».
 In due parole: è il modello del partito liquido?
 «Quella è un`espressione denigratoria che rifiuto. Noi non abbiamo mai parlato di partito liquido, ma aperto. Il Pd è stato un big bang che ha creato situazioni impreviste: ora tutto questo va trasformato in un`organizzazione matura. Ma partendo da un dato di fatto: il Pd è un`esperienza di successo».
Nel partito aperto ci sta pure la Leopolda? O è inopportuna, come dice la minoranza?
«Renzi ha vinto la competizione interna al Pd anche grazie alla mobilitazione del popolo della Leopolda: se oggi, da segretario e premier, avesse detto ‘Ora non mi interessate più’, allora sì che avrebbe fatto un danno al Pd. La Leopolda non va guardata con gelosia, ma con orgoglio, espressione di un Pd che sa comunicare in tanti modi».

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