Il dem Tonini: insultato per il voto che ha salvato Azzollini, ma non c’era alcuna utilità politica
IL SENATORE dem Giorgio Tonini (classe 1959, trentino, sette figli, riformista liberai e cattolico insieme) lo sapeva che a scrivere su Facebook «Ho votato contro l`arresto di Azzollini», sarebbe stato sommerso dall`ira funesta dei lettori-elettori suoi e del Pd. Così è stato.
Dura la vita del garantista democratico, eh?
«Sapevo che sarebbe stata una decisione difficile da spiegare a una parte dei nostri elettori. Mi sono preso la mia dose di insulti, ma sono convinto di aver fatto la cosa giusta, che molti hanno condiviso e apprezzato».
Avete salvato, con Azzollini, alleati Ncd e legislatura?
«No, e per due ragioni. Né Schifani né Alfano ci hanno chiesto questo e bisogna dargliene atto. L`altro motivo è che, se avessimo ragionato in termini di utilità politica, con il Pd che è in una turbolenza di consensi, avremmo dovuto votare sì all`arresto. Penso sia stato giusto invece porsi l`unica domanda che la Costituzione ci impone: i magistrati sono in grado di motivare la richiesta non di processo, su cui non siamo competenti, ma di arresto, in via preventiva, di un parlamentare?».
Fatta la domanda, si dia una risposta…
«In tanti anni al Senato, ho quasi sempre votato a favore delle richieste della magistratura, l`ultima volta per Luigi Lusi: ho sempre pensato che l`onere della prova ce l`ha chi vota contro, non chi vota a favore della richiesta dei giudici. Ma in questo caso la richiesta dei magistrati era, per me, irricevibile: basava buona parte dell`impianto accusatorio sull`attività parlamentare di Azzollini, in palese violazione della Costituzione».
La `Casta` non ha salvato se stessa?
«Nessun parlamentare può essere chiamato a rispondere dei voti espressi, dice la Carta. Se la magistratura può arrogarsi il diritto di sindacare questo principio, salta la separazione dei poteri. Dobbiamo riconquistare la credibilità della politica e si può fare solo distinguendo caso per caso. Nella Prima Repubblica, i magistrati neppure potevano indagare, sui parlamentari: c`era la commissione inquirente che bloccava tutto. Nell`età berlusconiana si rispondeva solo `no` alle richieste di arresto. Una Camera deve dimostrare la presenza del fumus persecutionis, cioè il fondato sospetto di un atteggiamento persecutorio. Nel caso Azzollini, studiate le carte, ho visto molti solidi indizi difumus, una richiesta di arresto motivata in modo debole, discutibile, e sostenuta da argomentazioni pericolose dal punto di vista democratico».
Siamo al ritorno dell`eterno conflitto politica-magistratura?
«Dobbiamo tutti tornare alla Costituzione, politica e magistratura; riflettere seriamente sulla modifica dell`art. 68, attribuendo a un organo terzo presso la Consulta, non più alle Camere, l`autorità di decidere della libertà dei ,parlamentari ` ma pure dei procedimenti disciplinari dei magistrati».
Il Pd, tanto per cambiare, si è diviso…
«Potevamo fare meglio, nella gestione pubblica della vicenda, ma difendo la linea decisa dal gruppo: sulle questioni che riguardano la libertà delle persone e i voti di coscienza, ognuno deve potersi muovere libero e farsi il proprio convincimento. In casi come questi non si può invocare la ragion di Stato o tantomeno di partito».
Dura la vita del garantista democratico, eh?
«Sapevo che sarebbe stata una decisione difficile da spiegare a una parte dei nostri elettori. Mi sono preso la mia dose di insulti, ma sono convinto di aver fatto la cosa giusta, che molti hanno condiviso e apprezzato».
Avete salvato, con Azzollini, alleati Ncd e legislatura?
«No, e per due ragioni. Né Schifani né Alfano ci hanno chiesto questo e bisogna dargliene atto. L`altro motivo è che, se avessimo ragionato in termini di utilità politica, con il Pd che è in una turbolenza di consensi, avremmo dovuto votare sì all`arresto. Penso sia stato giusto invece porsi l`unica domanda che la Costituzione ci impone: i magistrati sono in grado di motivare la richiesta non di processo, su cui non siamo competenti, ma di arresto, in via preventiva, di un parlamentare?».
Fatta la domanda, si dia una risposta…
«In tanti anni al Senato, ho quasi sempre votato a favore delle richieste della magistratura, l`ultima volta per Luigi Lusi: ho sempre pensato che l`onere della prova ce l`ha chi vota contro, non chi vota a favore della richiesta dei giudici. Ma in questo caso la richiesta dei magistrati era, per me, irricevibile: basava buona parte dell`impianto accusatorio sull`attività parlamentare di Azzollini, in palese violazione della Costituzione».
La `Casta` non ha salvato se stessa?
«Nessun parlamentare può essere chiamato a rispondere dei voti espressi, dice la Carta. Se la magistratura può arrogarsi il diritto di sindacare questo principio, salta la separazione dei poteri. Dobbiamo riconquistare la credibilità della politica e si può fare solo distinguendo caso per caso. Nella Prima Repubblica, i magistrati neppure potevano indagare, sui parlamentari: c`era la commissione inquirente che bloccava tutto. Nell`età berlusconiana si rispondeva solo `no` alle richieste di arresto. Una Camera deve dimostrare la presenza del fumus persecutionis, cioè il fondato sospetto di un atteggiamento persecutorio. Nel caso Azzollini, studiate le carte, ho visto molti solidi indizi difumus, una richiesta di arresto motivata in modo debole, discutibile, e sostenuta da argomentazioni pericolose dal punto di vista democratico».
Siamo al ritorno dell`eterno conflitto politica-magistratura?
«Dobbiamo tutti tornare alla Costituzione, politica e magistratura; riflettere seriamente sulla modifica dell`art. 68, attribuendo a un organo terzo presso la Consulta, non più alle Camere, l`autorità di decidere della libertà dei ,parlamentari ` ma pure dei procedimenti disciplinari dei magistrati».
Il Pd, tanto per cambiare, si è diviso…
«Potevamo fare meglio, nella gestione pubblica della vicenda, ma difendo la linea decisa dal gruppo: sulle questioni che riguardano la libertà delle persone e i voti di coscienza, ognuno deve potersi muovere libero e farsi il proprio convincimento. In casi come questi non si può invocare la ragion di Stato o tantomeno di partito».