Il vicepresidente dei senatori Pd, Giorgio Tonini, risponde all’ultimo post sulla riforma del Senato di Vannino Chiti pubblicato nel blog su HuffPost.
I toni sono inutilmente polemici, ma proviamo a guardare alla sostanza dell’intervento di Vannino Chiti sull’Huffington Post. A me sembra di vederci alcuni segnali di apertura ad una possibile convergenza. Dice in sostanza Vannino che sulle funzioni del Senato si può dare per scontato l’accordo, almeno dentro il Pd e la maggioranza (ma forse anche oltre). Dunque, Chiti condivide la scelta, approvata con largo consenso da entrambi i rami del Parlamento, di fare del nuovo Senato la Camera delle autonomie, la sede della rappresentanza in Parlamento delle istituzioni territoriali: Regioni e Comuni. Si tratta ora, come ha detto e scritto più volte Anna Finocchiaro, di essere coerenti fino in fondo con questa scelta, ricercando sul testo (in particolare agli articoli 1 e 10 della riforma Boschi) una nuova, compiuta (e definitiva) sintesi con la Camera, che ha corretto significativamente al ribasso la versione approvata in prima lettura dal Senato.
Si tratta di farlo, certamente senza intaccare il ruolo politico primario di Montecitorio, derivante dall’esclusiva del rapporto fiduciario col Governo, e dunque anche il suo potere di ultima istanza nel procedimento legislativo (fatte salve alcune, importanti ma ben definite, materie riservate al procedimento bicamerale paritario), ma valorizzando la funzione del Senato come attore politico vivo e come efficace strumento di bilanciamento pluralistico del necessario monismo maggioritario di una Camera dei Deputati espressione della ‘democrazia decidente’, attraverso limitati ma effettivi poteri di partecipazione alla funzione legislativa, nazionale ed europea, e incisive e penetranti funzioni di controllo sul Governo e sulle politiche pubbliche. C’è ancora da lavorare per arrivare ad un testo convincente e soddisfacente, ma la buona notizia è che sembra si possa farlo in modo condiviso.
Secondo punto: Chiti considera definitivamente chiusa anche la discussione sulle dimensioni e la composizione del nuovo Senato. Dunque, vanno bene 100 senatori, scelti tra sindaci e consiglieri regionali e che restino tali, proprio per poter realmente rappresentare Regioni e Comuni in Parlamento. (Chiti non fa riferimento ai cinque nominati per sette anni dal presidente della Repubblica, ma si può presumere che il suo sia un silenzio-assenso). ‘Qual è allora — si chiede Vannino — il punto centrale che ancora divide? Chi elegge i consiglieri-senatori. Io voglio che siano i cittadini. Governo e maggioranza Pd sostengono che devono essere i consigli regionali’.
Apparentemente, ritorniamo allo stallo. In realtà, una via d’uscita, per quanto angusta, mi pare che Chiti riesca ad indicarla. Intanto, la sua nota ha il pregio di circoscrivere ad un solo punto, per quanto importante, l’area del dissenso. Ma quel che è ancora più incoraggiante, Vannino parla esplicitamente e ripetutamente di ‘consiglieri-senatori’. Sta qui, a mio modo di vedere, la chiave per trovare la via d’uscita. I senatori eletti direttamente dal popolo di cui parla Chiti non rimetterebbero infatti in questione l’architrave del nuovo Senato, ossia la sua funzione di ‘rappresentare le istituzioni territoriali’ (articolo 1 del ddl Boschi), proprio in quanto essi sarebbero comunque consiglieri-senatori. Si tratterebbe in sostanza, alle elezioni regionali, di eleggere, insieme al presidente (che sarebbe opportuno a questo punto fosse il primo senatore della Regione), i consiglieri regionali e, distintamente, i consiglieri-senatori, secondo modalità stabilite dalle leggi elettorali regionali. I senatori-sindaci resterebbero eletti dai consigli regionali.
Chiti ammetterà che, nella sostanza, la sua ipotesi in larga misura coincide con quella prospettata dalla proposta di ‘listino’ avanzata da Zanda e Pizzetti, ma anche da Quagliariello e da altri ancora. Per parte mia, non ho difficoltà a riconoscere che la sua versione è più limpida, perché evita la innegabile tortuosità (che beninteso non significa contraddittorietà) di stabilire, all’articolo 2, un principio di elezione indiretta dei senatori da parte dei consigli regionali, che verrebbe poi sviluppato, in un articolo successivo, con la previsione nella legge elettorale di un meccanismo di indicazione da parte degli elettori. Anche la proposta Chiti, peraltro, non è priva di problematicità tecniche (come ad esempio la difficoltà di adattarla alle Regioni piccole). Soprattutto, resta lo scoglio tecnico-politico di dover riaprire, con una evidente forzatura del regolamento, all’emendabilità per quanto chirurgica di un comma dell’articolo 2, col rischio che in quel pertugio si infilino tutti i tentativi di tutte le forze, trasversali a un po’ tutti i gruppi, che non vogliono affatto, come Chiti e altri, correggere la riforma, ma cercano di affossarla del tutto. E sono certo che Vannino converrà che è meglio una riforma che prevede i senatori-consiglieri indicati, anziché eletti, dal corpo elettorale, magari in modo redazionalmente non impeccabile, piuttosto che precipitare nel baratro dell’ennesimo fallimento.
Chiti sostiene che la sua proposta possa ‘allargare i consensi, coinvolgendo forze di opposizione, assicurando così un cammino più spedito alla riforma’. Penso sarebbe saggio verificare con serietà politica e onestà intellettuale questa ipotesi. La stessa serietà e la stessa onestà che dovrebbero portarci, nel caso constatassimo insieme l’impraticabilità tecnica e politica della proposta avanzata da Chiti, a convergere uniti, tutti uniti, sul bene possibile, che è sempre da preferire all’ottimo impossibile.

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