«Ogni mattina prendo il 776 che passa sotto gli otto ponti del Laurentino 38. E un autobus rumoroso, si conoscono più o meno tutti, vi prevale il malumore di un`umanità disperata. Questo popolo di periferia il Pd l`ha perso: votavano An, ora M5S, però è da qui che la sinistra deve ripartire se vuole avere ancora un futuro». Il teorico dell`operaismo Mario Tronti, 85 anni, senatore eletto nel Pd, vive in un caseggiato popolare di quattordici piani. «Qui si capisce tutto» dice. Guardava con simpatia a Renzi, ora ha fatto scalpore il suo documento, sottoscritto da altri 40 senatori democratici, con cui chiede di confermare «pieno sostegno a Gentiloni fino al 2018».
Di cosa parla la gente sul 776?
«Di lavoro, di redditi perduti, di sicurezza. Quest`ultimo è un grande tema sul quale la sinistra ha mantenuto un approccio ideologico: invocare protezione invece non è un argomento di destra».
Perché la sinistra ha abbandonato questi posti?
«Perché si è interessata alla politica dei diritti, trascurando i bisogni. Va bene la politica dell`Auditorium, e quella del tappeto rosso al Festival del cinema, ma coniugandole con le cose che contano davvero».
Non nasce prima del Pd questo distacco?
«Sì, ma mi chiedo: un partito di sinistra che non guarda alla vita quotidiana delle persone nel loro difficile vivere, che ci sta ancora a fare?».
Non è quel che la minoranza interna rimprovera a Renzi?
«Ma nemmeno loro parlano a quei bisogni. Vedo che tiene banco la scissione. Non me ne faccio niente di un partito del 10 per cento. I deboli hanno bisogno di essere difesi da una forza grande, che conti, un partito a vocazione maggioritaria, popolare, unitario».
È pentito di avere sostenuto Renzi?
«Lei tocca un punto dolente. Ha rappresentato una speranza. Aveva l`energia, e anche l`ambizione, per cambiare le cose, alla fine è mancato il progetto strategico. Non c`è stato un vero cambio di cultura. Oggi il Pd non si capisce cos`è».
Renzi può esserne ancora il leader?
«Non lo so. Vedo che Renzi insegue il M5S, non lo capisco: non bisogna combattere i politici, ma cambiare politica».
Per questo ha scritto quel documento?
«Sì, per avviare un dibattito sulle cose che contano davvero. Nel Pci se alle elezioni perdevi il 2 per cento c`erano assemblee
collettive fino allo sfinimento, qui dopo il 4 dicembre non è accaduto nulla. Anzi, sento gli stessi discorsi di prima. Com`è possibile?».
Il ministro Boschi le presentò il libro. Rivoterebbe Sì al referendum?
«Sì, è stato giusto. Non vorrei parlare delle persone, tuttavia i giovani dirigenti devono crescere, maturare. Forse c`è stata troppa fretta. Essere giovani è una grande risorsa, ma è anche un limite per chi fa politica, che è un agire carico di esperienza».
Lei votò anche il Jobs Act. Non è una contraddizione?
«L`ho votato con difficoltà, per disciplina di gruppo, ben sapendo che non basta una legge per far ripartire l`occupazione».
Perché è contrario al voto a giugno?
«Perché con questa legge proporzionale potrebbero verificarsi soltanto due cose: o nessun governo, o uno fatto di forze il cui unico collante è quello di spingere il Pd all`opposizione».
La sinistra dovrebbe allearsi con i moderati?
«Ma i moderati non ci sono più, sostituiti dagli arrabbiati: il centro ormai è un non-luogo».


Ne Parlano