Non si tratta di abolizione del Senato ma di superamento del bicameralismo
Si riapre l`antico problema del rapporto tra rappresentanza e decisione. Qui vanno a misurarsi di nuovo le possibili vie di uscita da una crisi della politica che, qui da noi, non è meno grave della crisi economica.
Necessario è trovare quel giusto equilibrio, che superi oggettive strozzature di sistema senza ricorrere a facili inseguimenti di consenso.
Mi concentro su un punto discriminante: il riassetto istituzionale delle due Camere, a seguito delle intelligenti osservazioni di Anna Finocchiaro (l`Unità, 25 gennaio), sulla indispensabile «valutazione di sistema». Intanto, attenzione alle parole. Non si tratta di abolizione del Senato, ma di superamento del bicameralismo perfetto, o paritario, come si è sempre espresso il Presidente della Repubblica. Maturo è ormai il passaggio che prevede l`affidamento alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario con il governo e di gran parte dell`attività legislativa: una razionalizzazione e semplificazione della decisione politica, necessaria e urgente. Questo è il cuore della revisione costituzionale, a cui si aggiungono, come appendice, la riforma del Titolo Vela forma che dovrà assumere la seconda Camera, nonché il tema del finanziamento pubblico dei partiti. La nuova legge elettorale può anche essere varata prima, come clausola di salvaguardia contro eventuali improvvise interruzioni della legislatura, ma sapendo che avrà bisogno di un riadattamento una volta ultimato l`iter delle riforme istituzionali. Comunque, va tenuto costantemente presente il quadro d`insieme.
Le istituzioni vanno maneggiate con cura. Sono degli organismi carichi di storia, che non si possono cancellare con un colpo di penna. Il Senato ha in corpo due date, 1861 e 1948, che non sono ieri o l`altro ieri. Legame le sorti all`andamento degli attuali costi della politica, mi pare un`operazione da tipica «società liquida». Trasformarlo in Camera delle autonomie, non direttamente elettiva, istituzionalizzando una conferenza Stato-Regioni, mi pare un`idea non proprio di im- maginazione al potere. Se dobbiamo cambiare le istituzioni, prima di tutto pensiamole. Le idee non mancano e l`opportuna accelerazione dei processi di riforma le mette oggi in campo. Vanno tra loro attentamente confrontate.
Ad esempio, sul Sole 24 Ore si è da tempo sviluppata un`interessante discussione sulla possibilità di un Senato delle competenze e del «saper fare». Il responsabile dell`inserto domenicale, Armando Massarenti, scriveva il 5 gennaio scorso: «. Domanda assai pertinente, a cui si sono associati la senatrice a vita Elena Cattaneo, Stefano Folli e su cui raccolgo in giro molti consensi. Su Repubblica del 23 gennaio, Andrea Manzella, con la sua riconosciuta, appunto, competenza, faceva un discorso parallelo. Ne ripeto alcuni passaggi, che forse sono sfuggiti ai più. E vero che la Costituzione recita «eletto a base regionale», ma negli Atti della Costituente il Senato avrebbe dovuto soprattutto rappresentare, nella cornice regionale, «la complessiva struttura sociale», le «forze vive» della Nazione, la tensione vitale e culturale della intricata società italiana. Costantino Mortati ne accettò in questo senso la formula. Il Senato doveva essere, allo stesso tempo, «garanzia» contro l`onnipotenza dell`altra Camera e «integrazione vitale» della sua rappresentanza politica. La Costituzione, con una fuga in avanti, si distaccava da quei senati europei, costruiti per esprimere interessi degli enti locali, con elezione indiretta. Del resto, proprio le degenerazioni delle elezioni di secondo grado, ad opera di mandarini regionali, provocarono il XVII emendamento della Costituzione americana, con due sena- tori per Stato, eletti direttamente.
Questo è il quadro del problema. Vogliamo discuterne? O passiamo subito all`atto del fare, senza il «saper fare», tagliando 315 indennità a carico dello Stato, e tutto è risolto? Come mai non si parla più di riduzione del numero dei parlamentari? Non era questa la via maestra per i risparmi sulla spesa? In realtà, il tema specifico è da inquadrare dentro quella più generale emergenza che si chiama autoriforma della politica. Le istituzioni rappresentative devono riguadagnarsi dignità, autorevolezza, fiducia, riconoscimento da parte dei cittadini. Il Senato della Repubblica dovrebbe riconquistare la definizione letterale di Camera alta, non essere abbassato al di sotto della Camera bassa. A questa il confronto diretto Parlamento-Governo, rapporti economici e rapporti politici, Titolo III e Titolo IV. A quella il confronto con i mondi vitali, con le emergenze antropologiche, la cura dei rapporti civili e dei rapporti etico-sociali, Titolo I e Titolo II. Poi bisognerà entrare nel merito, ravvicinare le disposizioni, riempire di contenuti le definizioni. Possono esserci altre proposte, portate da altre sensibilità. Spetta ai partiti, se ce ne sono ancora in grado di esercitare la loro essenziale funzione, di suscitare un movimento di opinione, un coinvolgimento attivo delle persone, delle associazioni, delle professioni, dei corpi intermedi. Magari non a colpi di twitter, ma ragionando e facendo ragionare. Capisco, non sarà facile.
Necessario è trovare quel giusto equilibrio, che superi oggettive strozzature di sistema senza ricorrere a facili inseguimenti di consenso.
Mi concentro su un punto discriminante: il riassetto istituzionale delle due Camere, a seguito delle intelligenti osservazioni di Anna Finocchiaro (l`Unità, 25 gennaio), sulla indispensabile «valutazione di sistema». Intanto, attenzione alle parole. Non si tratta di abolizione del Senato, ma di superamento del bicameralismo perfetto, o paritario, come si è sempre espresso il Presidente della Repubblica. Maturo è ormai il passaggio che prevede l`affidamento alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario con il governo e di gran parte dell`attività legislativa: una razionalizzazione e semplificazione della decisione politica, necessaria e urgente. Questo è il cuore della revisione costituzionale, a cui si aggiungono, come appendice, la riforma del Titolo Vela forma che dovrà assumere la seconda Camera, nonché il tema del finanziamento pubblico dei partiti. La nuova legge elettorale può anche essere varata prima, come clausola di salvaguardia contro eventuali improvvise interruzioni della legislatura, ma sapendo che avrà bisogno di un riadattamento una volta ultimato l`iter delle riforme istituzionali. Comunque, va tenuto costantemente presente il quadro d`insieme.
Le istituzioni vanno maneggiate con cura. Sono degli organismi carichi di storia, che non si possono cancellare con un colpo di penna. Il Senato ha in corpo due date, 1861 e 1948, che non sono ieri o l`altro ieri. Legame le sorti all`andamento degli attuali costi della politica, mi pare un`operazione da tipica «società liquida». Trasformarlo in Camera delle autonomie, non direttamente elettiva, istituzionalizzando una conferenza Stato-Regioni, mi pare un`idea non proprio di im- maginazione al potere. Se dobbiamo cambiare le istituzioni, prima di tutto pensiamole. Le idee non mancano e l`opportuna accelerazione dei processi di riforma le mette oggi in campo. Vanno tra loro attentamente confrontate.
Ad esempio, sul Sole 24 Ore si è da tempo sviluppata un`interessante discussione sulla possibilità di un Senato delle competenze e del «saper fare». Il responsabile dell`inserto domenicale, Armando Massarenti, scriveva il 5 gennaio scorso: «. Domanda assai pertinente, a cui si sono associati la senatrice a vita Elena Cattaneo, Stefano Folli e su cui raccolgo in giro molti consensi. Su Repubblica del 23 gennaio, Andrea Manzella, con la sua riconosciuta, appunto, competenza, faceva un discorso parallelo. Ne ripeto alcuni passaggi, che forse sono sfuggiti ai più. E vero che la Costituzione recita «eletto a base regionale», ma negli Atti della Costituente il Senato avrebbe dovuto soprattutto rappresentare, nella cornice regionale, «la complessiva struttura sociale», le «forze vive» della Nazione, la tensione vitale e culturale della intricata società italiana. Costantino Mortati ne accettò in questo senso la formula. Il Senato doveva essere, allo stesso tempo, «garanzia» contro l`onnipotenza dell`altra Camera e «integrazione vitale» della sua rappresentanza politica. La Costituzione, con una fuga in avanti, si distaccava da quei senati europei, costruiti per esprimere interessi degli enti locali, con elezione indiretta. Del resto, proprio le degenerazioni delle elezioni di secondo grado, ad opera di mandarini regionali, provocarono il XVII emendamento della Costituzione americana, con due sena- tori per Stato, eletti direttamente.
Questo è il quadro del problema. Vogliamo discuterne? O passiamo subito all`atto del fare, senza il «saper fare», tagliando 315 indennità a carico dello Stato, e tutto è risolto? Come mai non si parla più di riduzione del numero dei parlamentari? Non era questa la via maestra per i risparmi sulla spesa? In realtà, il tema specifico è da inquadrare dentro quella più generale emergenza che si chiama autoriforma della politica. Le istituzioni rappresentative devono riguadagnarsi dignità, autorevolezza, fiducia, riconoscimento da parte dei cittadini. Il Senato della Repubblica dovrebbe riconquistare la definizione letterale di Camera alta, non essere abbassato al di sotto della Camera bassa. A questa il confronto diretto Parlamento-Governo, rapporti economici e rapporti politici, Titolo III e Titolo IV. A quella il confronto con i mondi vitali, con le emergenze antropologiche, la cura dei rapporti civili e dei rapporti etico-sociali, Titolo I e Titolo II. Poi bisognerà entrare nel merito, ravvicinare le disposizioni, riempire di contenuti le definizioni. Possono esserci altre proposte, portate da altre sensibilità. Spetta ai partiti, se ce ne sono ancora in grado di esercitare la loro essenziale funzione, di suscitare un movimento di opinione, un coinvolgimento attivo delle persone, delle associazioni, delle professioni, dei corpi intermedi. Magari non a colpi di twitter, ma ragionando e facendo ragionare. Capisco, non sarà facile.