«Il disegno di legge che introduce il reato di femminicidio, appena approvato dal Governo, è un testo dirompente e coraggioso, che avrà effetti sul piano culturale, prima ancora che su quello penale. Perché, finalmente, nomina un fenomeno nel Codice penale – quello delle donne uccise dagli uomini in quanto donne, nell’ambito di una storica sperequazione di potere – e aiuta i giudici a riconoscerlo. È ciò che abbiamo sempre chiesto».
Valeria Valente, senatrice del Partito democratico ed ex presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio nella XVIII legislatura, non ha paura di “dare a Cesare quel che è di Cesare” e neppure di rivendicare il contributo decisivo a questo «passo avanti» fornito dal lavoro della commissione. Anche se – puntualizza – «questo non significa né che con questo provvedimento il Governo risolva il problema della violenza contro le donne né che io condivida il resto delle politiche della destra per le donne. Tutt’altro. Penso per esempio al disinvestimento sugli asili nido e su Opzione donna, alla bocciatura della nostra proposta sul congedo parentale paritario, all’assenza di investimenti sull’occupazione femminile e a tutte le altre politiche che spingono le donne a restare a casa invece che a partecipare attivamente alla vita pubblica».
In queste ore c’è chi grida al populismo penale. E chi dice: è solo propaganda per l’8 marzo.
Probabilmente non avrei presentato il Ddl il 7 marzo, ma liquidare il testo come pura propaganda è sbagliato. Parlare di populismo penale è un altro errore: sono la prima a respingere l’idea che la violenza maschile contro le donne si possa risolvere con il diritto penale e a ritenere che abbia invece bisogno di un robusto investimento in formazione, educazione e sensibilizzazione. Ma bisogna guardare alla realtà: sia sul fronte del femminicidio sia su quello delle molestie sessuali e del consenso, gli interventi sul Codice servono. Sono strumenti operativi per aiutare le donne. È cultura giuridica che fa cultura diffusa.
Qual è la svolta?
Basta leggere il testo e giudicare nel merito. L’articolo 1 riconosce giuridicamente e nomina nel Codice penale il femminicidio, una specificità che noi ormai comprendiamo a livello sociologico, ma che non trovava riscontro nel diritto. Questo passaggio non solo aiuterà i giudici a riconoscerlo con maggiore efficacia di quanto avviene ora – abbiamo tante sentenze, purtroppo, a dimostrarlo – ma implicherà un salto di qualità a livello culturale. Ci permetterà di ribattere a chi nega il fenomeno o a chi si permette di sostenere che esistono anche donne che uccidono uomini (sono meno del 7% del totale!) che il Codice penale punisce chi «cagiona la morte di una donna in quanto donna come atto di discriminazione o di odio per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà, o comunque l’espressione della sua personalità». E aiuterà a distinguere la matrice del delitto, perché uccidere una donna in quanto donna, come retaggio di una sperequazione di potere che confligge tragicamente con la libertà femminile, è diverso dall’ucciderla in un incidente stradale o durante una sparatoria.
Un appiglio ai giudici?
Costringe tutti, anche nella fase delle indagini, a valutare se, quando una donna viene uccisa, c’è all’origine una sperequazione di potere e fornisce gli strumenti per individuare più chiaramente la fattispecie. Apre gli occhi, fa vedere. Anche perché purtroppo non si può sempre confidare di incontrare operatori sensibili e attenti al tema, pronti a faticare non poco per dimostrare quello che vedono o che capiscono. Spero che la legge, una volta approvata, possa sostenere anche le tante, troppe madri le cui denunce di violenza non vengono considerate nei tribunali civili e contro le quali viene usato il costrutto dell’alienazione parentale, che da tutto il mondo occidentale viene considerato lo strumento più diffuso per accusarle a loro volta di voler allontanare i bambini dai padri.
Il femminicidio è punito con l’ergastolo: anche questo condivide?
Su questo punto, da garantista, posso avere qualche perplessità. Ma segnalerei un’altra incoerenza.
Quale?
Un Governo che nomina il femminicidio sembra aver compreso il valore del linguaggio. Perché sessuare il diritto penale va bene, ma sessuare il linguaggio no? La nostra premier si fa ancora chiamare “il” presidente del Consiglio.
Torniamo al testo. Concorda con l’aumento delle pene per gli altri reati del Codice rosso?
Sì. È molto importante non fermarsi all’articolo 1, perché il Ddl è ricco e condivisibile in molti altri suoi articoli. Riconosce la matrice culturale anche negli altri reati violenti contro le donne, mitiga il possibile bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, rafforza il ricorso alla misura cautelare degli arresti domiciliari a protezione delle vittime dei reati spia. Molte delle novità erano invocate nelle relazioni della commissione contro il femminicidio che presiedevo. La norma che obbliga il Pm, su richiesta della vittima, ad audirla senza possibilità di delega all’autorità giudiziaria, ad esempio. Ma soprattutto la previsione dell’obbligatorietà della formazione per i magistrati, con il coinvolgimento della Scuola superiore della magistratura anche in sede decentrata e la collaborazione con chi opera nel settore della prevenzione e del contrasto alla violenza contro le donne. Io lo leggo come un riferimento ai centri antiviolenza. Valuteremo in Parlamento se ci sarà bisogno di chiarire che si tratta solo dei Cav. Così come penso che sarà necessario valutare l’esigenza di stanziare risorse aggiuntive per la concreta attuazione di tutto quanto previsto.
Il testo abolisce anche l’imposta di registro sui risarcimenti, per evitare nuovi casi come quello di Giulia Galiotto, uccisa a trent’anni, i cui genitori si sono visti chiedere dall’Agenzia delle Entrate 6mila euro di tasse.
Come si fa a essere contrari? È un’altra norma di civiltà.
Anche a sinistra, però, si levano voci contrarie. Quale messaggio si sente di inviare al suo partito, il Pd?
Solo uno: rivendichiamo anche il nostro protagonismo su questo risultato. In grande parte abbiamo contribuito anche noi, con un lavoro paziente e determinato portato avanti negli anni insieme a tanti soggetti e a tante associazioni. Nelle relazioni finali della commissione che ho presieduto e che sono state approvate all’unanimità era già scritto tanto.