In Argentina, il governo Milei ha deciso di cancellare il femminicidio dall`ordinamento in nome dell`uguaglianza: chi uccide una persona va trattato nello stesso modo, siano l`assassino e la sua vittima di sesso femminile o maschile; il reato specifico costituisce quindi niente di più che una discriminazione nei confronti degli uomini. In Italia questa notizia sta suscitando dibattito, con alcune donne e femministe giustamente contro e la destra per lo più a favore. Il punto dirimente è riconoscere (o meno) la violenza contro le donne e il loro assassinio come un fatto sociale caratterizzato da una specifica dinamica riconducibile alla cultura patriarcale, alla sperequazione di potere tra i sessi, alle relazioni fondate sul possesso e sul controllo maschile del corpo e della vita delle donne. L`argomento dell`uguaglianza è pertanto furbo, ma totalmente fuorviante. Non c`è reciprocità nella violenza domestica. Nella quasi totalità dei casi, gli uomini uccidono le donne proprio per il loro essere donne, ovvero attrici sociali –nella cultura patriarcale in cui ancora viviamo – per definizione sottomesse al potere maschile, tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica. La libertà conquistata dalle donne attraverso le battaglie femministe è dunque un problema e quando viene esercitata, magari per scegliere chi amare o di interrompere una relazione, si viene punite, da padri, fratelli, mariti, compagni o ex, anche con la morte. Perché quella libertà mette in discussione l`identità maschile. Se è vero che non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi, questi, commessi per questa ragione, lo sono. Cancellare il femminicidio significa dunque evitare di vedere, di riconosce le cause sociali della violenza contro le donne, che proprio per questo in molte ci ostiniamo a chiamare violenza maschile l’omicidio commesso nell`ambito di un rapporto di parentela o convivenza. Ma in un momento come l`attuale, in cui siamo alle prese con un imponente nuovo attacco ai diritti femminili, spesso condotto persino in nome di una presunta ricerca di parità, e in cui l`avanzare delle autarchie e i conflitti rischiano di comprimere per primi proprio i diritti delle donne, credo che sia giunto il tempo di introdurre anche in Italia il reato di femminicidio. Da femminista, ho spesso visto con sospetto l`eccessivo ricorso al diritto penale per punire la violenza maschile, considerando strumenti più adeguati la prevenzione, la diffusione di una cultura del rispetto della differenza sessuale, e la relativa formazione e specializzazione degli operatori che sono chiamati ad applicare quelle norme. Abbiamo ora a disposizione un patrimonio legislativo che consente di difenderci meglio che in passato, anche se mancano ancora all`appello il reato di molestie sessuali e una legge sul consenso. Ma istituire il reato di femminicidio permetterebbe, oltre che di agire a livello simbolico riconoscendo la matrice della cultura patriarcale nel Codice penale, di introdurre una fattispecie specifica per consentire una lettura più corretta del fenomeno e indagare e perseguire con più efficacia i colpevoli.


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