Il reato di molestia sessuale sul lavoro in Italia non esiste. Sembra incredibile ma è così. La molestia viene punita attraverso la legge sulla violenza sessuale se la vittima riesce a dimostrare, al processo, che c’è stata un’aggressione fisica. Oppure viene, nella maggioranza dei casi, derubricata a violenza privata, con sanzioni irrisorie per chi la compie. Per questo la mancanza di un reato ad hoc, ogni volta che la piaga delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro riesplode, dimostra quanto sia clamorosa questa assenza. Può essere un set cinematografico, un’aula di università o una fabbrica, la difficoltà di dimostrare l’aggressione non cambia. All’interno di un sistema giudiziario dove, com’è noto, le donne fanno un’enorme fatica ad essere credute.

Racconta Valeria Valente, senatrice Pd, ex presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio: «Nell’ultima legislatura eravamo arrivati a un testo unico, ma alla vigilia di andare in aula, per l’opposizione della Lega, l’iter si è fermato. Adesso dobbiamo ricominciare da zero». Valeria Valente ha presentato lo scorso 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, un nuovo disegno di legge: “Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali e delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro”. «Il senso della legge è che chiunque crei una situazione di disagio con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale violando la dignità della persona, viene punito con la reclusione da due a quattro anni». E la pena aumenta della metà, si legge nel disegno di legge, «se dal fatto commesso nell’ambito di un rapporto di lavoro con abuso di autorità deriva un clima intimidatorio, degradante e offensivo».

Ossia tutto ciò che le donne subiscono nei luoghi di lavoro, quasi sempre da chi è in posizione gerarchicamente superiore. «Il delitto è punibile a querela della persone offesa, la querela può essere presentata entro 12 mesi ed è irrevocabile». «Istituire il reato di molestia è un completamento dell’insieme di leggi sulla violenza sessuale, va a coprire una zona grigia che resta spesso impunita. Quanto è difficile dimostrare un palpeggiamento, quando l’unica prova è la parola della donna contro il suo datore di lavoro? Il rischio è che i giudici  definiscano l’aggressione a violenza privata, le cui sanzioni non sono superiori a quelle degli schiamazzi notturni. Dunque alle vittime manca uno strumento di tutela. In questo modo invece si va a punire la molestia in sé e può essere un forte fattore dissuasivo».

Il testo di legge Valente è ancora fermo nei cassetti del Senato, e resta da chiedersi perché fino ad ora, nonostante i tentativi, le molestie sessuali non siano state considerate un reato. «Non c’è molto da stupirsi, abbiamo eccellenti leggi ma siamo un Paese che continua culturalmente a giustificare i comportamenti violenti degli uomini. Proprio a cominciare dalle molestie».


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