La transizione per tornare alla normalità è appena cominciata. Sarà lunga, graduale e complessa. Come ne usciremo dipenderà in gran parte da noi e dalle scelte che metteremo in campo. Gli effetti di questa crisi, immediati e a lungo termine, incideranno sulla carne viva dell’Italia. Nelle settimane passate servivano soluzioni di “emergenza”, nei prossimi mesi servirà coraggio e un pensiero lungo per immaginare interventi strutturali e tornare a una normalità necessariamente diversa. Restare ad aspettare che i cambiamenti avvengano, in maniera attendista, sarebbe il peggiore degli errori. Osservo con sollievo che si sta esaurendo il derby, davvero poco comprensibile, tra economia e salute. E’ ovvio che la salute degli italiani venga al primo posto, ma è anche vero che soltanto la demagogia può descrivere l’economia reale come un avversario della salute. Questo, però, non è neanche il tempo di contrapporre il necessario sostegno all’economia alla lotta alle diseguaglianze. Sarebbe infatti un grave errore di prospettiva mettere in contrasto gli interventi per rilanciare settori fondamentali per la ripresa, a partire per esempio da quello delle infrastrutture, con un programma audace di recupero dei divari territoriali e delle diseguaglianze sociali. Tre su tutti: Sud, donne e giovani. E, aggiungo, in un ottica riformista che ha a cuore una crescita sostenibile, non sarebbe meno dannoso programmare queste due azioni su fasi e tempi diversi. Per quanto riguardo il primo, pensiamo all’edilizia pubblica e privata, un settore che si appresta a ripartire presto e che sarà un traino fondamentale. Dovrà però essere sostenuto con modi da centometristi più che maratoneti, attraverso risorse, sia quelle ancora non spese sia quelle già programmate, da utilizzate subito e con procedure snelle, come ha proposto Ance Campania. Questi interventi però dovranno anche servire a ridurre il gap che sulle infrastrutture sconta il Mezzogiorno. La prospettiva di tornare indietro sulla clausola del 34% mi sembra del tutto irragionevole, oltre che ingiusta. Non ci sarà una piena ripresa del Paese senza un Nord a pieno regime, anche in modo nuovo, ma è impensabile che il necessario sostegno alle regioni che più hanno pagato l’emergenza sanitaria sia promosso a a scapito del Sud. Al contrario, è proprio questo il momento per colmare il divario che ancora li separa, a partire dal tema fondamentale della qualità dei sistemi sanitari (i livelli essenziali di assistenza fotografano un Paese di fatto in due), il contrasto alla povertà educativa, l’infrastruttura digitale come nuovo diritto di cittadinanza, la transizione ecologica e tecnologica dell’economia. E qui arriva il secondo tema: le donne, anche le giovani donne. Lo tsunami epidemico si è abbattuto su un Paese fragile, dove il Mezzogiorno, dopo aver subito un deflusso enorme di popolazione soprattutto giovanile, sconta ancora un forte differenziale occupazionale per giovani e donne. C’è qui un tema di giustizia sociale, ma c’è anche quello di liberare risorse, capacità e competenze che fino ad oggi sono state per buona parte emarginate nel nostro modello di sviluppo. Sappiamo, per esempio, che l’aumento del tasso di occupazione femminile produrrebbe ricadute positive sul Pil e sarebbe un moltiplicatore di posti di lavoro. E non dimentichiamo che l’arretratezza dell’Italia deriva anche dal suo basso tasso di natalità, inevitabile quando la nascita di un figlio può significare l’uscita dal mercato del lavoro o l’interruzione di una carriera. Le donne potranno rappresentare un elemento virtuoso per generare questa trasformazione, portando tempi di lavoro differenziati e l’esigenza di riconoscere beni e servizi fino ad oggi “sommersi”, a partire dal lavoro di cura delle persone, dell’ambiente e delle relazioni. Per riprendersi l’Italia ha bisogno anche di quello che da sempre chiedono le donne.
Tutto questo richiede un coraggio che il nostro Paese deve in primo luogo chiedere a se stesso. Il coraggio per affrontare una rifondazione culturale e operativa compiendo scelte rapide, efficienti e lungimiranti.