“Rispettare l’art. 27 della Costituzione; fermare la deriva panpenalistica in atto; investire nell’ammodernamento dei penitenziari, cosa ben diversa dalla costruzione di nuove carceri; prevedere risorse aggiuntive adeguate a garantire la qualità del lavoro di operatori e operatrici, polizia penitenziaria compresa, e attività di recupero e reinserimento per detenuti e detenute; approvare misure deflattive del sovraffollamento per chi deve scontare meno di un anno di carcere e l’accesso alle misure alternative per i 19mila detenuti che stanno scontando una pena o residuo di pena inferiore ai tre anni; aumentare videochiamate e telefonate e garantire concretamente, come indicato dalla Corte Costituzionale, il diritto all’affettività. Una riflessione specifica meriterebbe poi la condizione delle detenute e delle madri: il tasso di affollamento ufficiale riguarda anche le carceri e le sezioni femminili. E’ paradossale che le detenute pur non essendo affatto causa del sovraffollamento, e avendo in media comminate pene più leggere, lo paghino così pesantemente”. Lo dice la senatrice napoletana del Pd Valeria Valente che, proprio a Napoli, ha partecipato all’iniziativa di protesta organizzata in tutta Italia dalla Conferenza nazionale dei Garanti dei detenuti. “A Napoli a causa della chiusura del carcere femminile di Pozzuoli le donne sono state sparpagliate negli altri penitenziari. Così, per mancanza di spazi, è diventato più difficile far lavorare le detenute nella cooperativa de ‘Le Lazzarelle’ per la torrefazione del caffè, un progetto di Irma Carpiniello, che ho incontrato oggi proprio per tentare di risolvere questo problema”.
“Per le detenute madri – prosegue Valente – dobbiamo prevedere più Icam, in prospettiva però di un loro superamento con le case famiglia protette. E’ necessario cancellare quella norma crudele e inutile del ddl Sicurezza che apre le porte del carcere alle detenute madri e ai loro figli minori di un anno. Dobbiamo pensare di dedicare una direzione specifica del Dap alla carcerazione femminile. Le donne, anche per il loro numero esiguo, pagano un prezzo doppio a questo modello organizzativo tutt’altro che neutro: negli spazi, nella formazione, nelle attività di recupero, nelle relazioni. Lo Stato dunque deve occuparsi delle detenute assumendo una giusta prospettiva di genere”.


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