“Il governo parla della separazione delle carriere come di una riforma epocale. Ma una ‘riforma epocale’ meriterebbe ben altro pathos da parte della maggioranza, che dovrebbe intervenire e avere un ruolo da protagonista in Aula. Vedere che, dopo aver compresso il confronto in Commissione ed essere arrivati in Aula senza relatore, i banchi della maggioranza sono oggi vuoti, vedere il ministro Nordio partecipare giusto il tempo della pregiudiziale è davvero sorprendente”. Lo ha detto in Aula nel suo intervento la senatrice del Pd Valeria Valente, componente della Commissione Affari costituzionali. “Una riforma costituzionale – prosegue Valente – non si fa necessariamente in un clima di scontro frontale con tutti i soggetti protagonisti. E invece la riforma forse non è epocale, ma lo scontro sì. Difficile pensare a un precedente scontro della portata di quello che sta accompagnando questa riforma. Le forze di maggioranza sostengono che questa riforma fa parte del patto con i propri elettori. Ma pensano mai che sono stati eletti da un elettore su 4? Che un giorno anche quel 50% che non ha votato potrebbe tornare a votare e che l’Esecutivo dovrebbe adesso governare per nome e per conto di tutti i cittadini? No, perché avere questo pensiero significherebbe accettare il senso del limite, mentre puntano al potere assoluto. Quale riforma della giustizia servirebbe a un cittadino o a una cittadina che si affacciano in un’aula di giustizia? Servirebbero giudici specializzati, maggiore efficienza degli uffici, risorse umane e strumentali. Facciamo fatica a credere che questa riforma sia la priorità, anche perché la separazione delle carriere è già nei fatti. E allora qual è il vero obiettivo? Se si pensa al Premierato e al decreto sicurezza si capisce che questa riforma non è finalizzata alla maggiore efficienza del sistema della giustizia per le imprese e i cittadini, ma a rafforzare il potere politico. L’assillo di questa maggioranza è quello di agire indisturbati, manifestando addirittura fastidio per i pesi e contrappesi previsti dal nostro sistema costituzionale. Chi vince le elezioni ha il diritto-dovere di governare, non quello di comandare. Non esiste un potere esecutivo assoluto, che è invece limitato dagli altri poteri previsti dalla Costituzione. Una Carta che andrebbe riletta con il massimo rispetto e anche cambiata, ma con procedure che oggi in quest’aula si stanno calpestando”.


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