Signora Presidente, colleghi, in quest’Aula, nel dibattito di questi giorni, abbiamo tutti la consapevolezza di essere protagonisti di un passaggio di grande importanza, innanzitutto perché questo passaggio mette al primo posto le persone: ansie, aspettative, speranze che alla politica chiedono risposte. Hanno trovato voce in quest’Aula, nel dibattito di questi giorni, i sentimenti di donne e uomini che da troppo tempo vedono negate prerogative basilari, come quelle di vedere riconosciuti a pieno titolo legami effettivi e duraturi, progetti di vita tra due persone che si amano, e dunque hanno il diritto di unirsi in matrimonio, qualunque sia il proprio orientamento sessuale, da persone libere che aspirano al benessere e alla felicità.
È su questa base che sono fermamente convinto le coppie gay e lesbiche abbiano, al pari delle altre, pieno diritto al matrimonio senza alcuna differenza o diminutio, perché non c’è alcuna ragione valida che possa ancora oggi discriminare migliaia di persone di fronte alla legge alimentando pregiudizi e costringendo ad una condizione di minorità, di mancata cittadinanza, molte coppie in nome di una presunta normalità. Ma che cosa è la normalità? Me lo chiedo da legislatore e lo chiedo a tutti voi in quest’Aula che, come me, siete chiamati a fare scelte che riguardano il modo in cui ciascuno vede la vita, i suoi valori più profondi, l’etica quotidiana. Allora tornano in mente le bellissime parole di Papa Francesco: «chi sono io per giudicare».
Io penso, da legislatore, che là dove ci sia amore tra due persone e – se ci sono – i loro figli, lì ci sia una famiglia. E questa traccia l’ho ritrovata anche nella lettura della sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti, che nel giugno scorso ha dichiarato incostituzionali le leggi statali che vietavano i matrimoni gay perché violano il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione americana. Quella sentenza è un vero inno al matrimonio come il diritto essenziale di ognuno a realizzarsi in qualcosa più grande di se stessi, un’aspirazione che a nessuno può essere preclusa. A leggere quella sentenza si avverte fortissimo il connubio fra libertà ed eguaglianza, che è la molla più potente per una coscienza politica dei diritti, per costruire una società più avanzata, più inclusiva.
Ancora oggi, nelle ore in cui questo Senato può varare una delle riforme che segneranno la storia repubblicana, dimostrando, questo Senato, questo Parlamento, il suo valore, la sua maturità, facendo di questa una legislatura costituente anche sul terreno dei diritti, la questione sta nei termini usati da John Kennedy molti anni fa, nel 1963 nel suo discorso sui diritti civili all’indomani dei fatti in Alabama: «Il problema fondamentale è stabilire se tutti (…) debbano ottenere gli stessi diritti e pari opportunità; se intendiamo trattare i nostri concittadini (…) come noi stessi desidereremmo essere trattati».
Allora voterò la legge sulle unioni civili come un passo decisivo verso il matrimonio egualitario, come già esiste in gran parte d’Europa. A me non sfugge l’importanza enorme di questa legge, e voglio ringraziare Monica Cirinnà, tutti i senatori del PD e i senatori di tutti i Gruppi che questa legge hanno sostenuto in Commissione, nell’iter parlamentare, arrivando ad una mediazione alta.
Adesso ci aspetta un confronto serrato in Aula e io penso che, per rispetto di tutti i cittadini, di tutte le opinioni, della trasparenza che dobbiamo all’opinione pubblica, sarebbe giusto che in quest’Aula non ci fossero voti segreti, che ognuno si pronunciasse a viso aperto (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Santangelo),prendendo le sue responsabilità, come nel corso di questo dibattito: sarebbe un modo ulteriore per colmare il ritardo della nostra legislazione sui diritti. È un’anomalia insostenibile che separa il nostro dagli altri Paesi occidentali, ma soprattutto che separa la nostra classe politica dalla società italiana.
C’è ancora chi si ostina a non vedere i mutamenti sociali che in questi decenni hanno trasformato la famiglia, facendola diventare plurale, modificando costumi, opinioni, senso comune. In tanti, troppi, sono ancora esclusi da tutele e protezioni. Si tratta di diritti individuali che sono insieme anche diritti sociali e non di capricci egoistici o narcisisti. Sono legami sociali che rendono più forte e solidale una società che è resa fragile dalla crisi.
Per questo va colmato questo vuoto legislativo e soprattutto va riparata un’attitudine ipocrita e vigliacca di una certa politica, quella che… tanto poi decidono i giudici. Vanno abbattuti muri e discriminazioni, quelli per cui a luglio l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per mancata protezione legale delle coppie dello stesso sesso.
Per questo sono convinto dell’urgenza del presente disegno di legge, che per me si lega direttamente all’impegno che in quest’Aula abbiamo di attuare i primi articoli della Costituzione: in questo caso certamente l’articolo 2, ma soprattutto l’articolo 3 della nostra Carta, che afferma che tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni davanti alla legge e che è compito della Repubblica – e dunque nostro – rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo. Sono i diritti fondativi della cittadinanza.
Approvare il presente disegno di legge significa tornare a dare contenuti a una democrazia, la nostra, che è malandata perché è stata svuotata; significa rigenerare fiducia tra cittadini e istituzioni; significa tenere insieme crescita civile e crescita economica, perché le società con troppe diseguaglianze, con troppe ingiustizie, non funzionano (come sappiamo), non sono dinamiche, non producono benessere; invece, quando si estendono i diritti, tutti sono più forti e la nascita di famiglie gay e lesbiche non toglierà nulla a quelle etero.
Il cambiamento che vogliamo sancire è già ampiamente metabolizzato nella Costituzione materiale della nostra società, nei suoi comportamenti, ed è un bene che questo disegno di legge tenga insieme unioni civili e adozione del figlio del partner: avviene così ovunque in Europa dove ci sia una legge simile a questa. È un punto irrinunciabile che dà grande valore all’intero provvedimento ed è irrinunciabile per una ragione semplice, che non ammette repliche: proteggere i soggetti più deboli, i bambini, far prevalere il preminente interesse e diritto del minore ad avere una famiglia e non viceversa. È uno strumento che tutela i bambini, tutti, senza differenze, comunque essi siano nati. Si tratta di bambine e di bambini che esistono, quindi chiedo a me stesso e a tutti noi in quest’Aula se queste bambine e questi bambini che già esistono possano essere ignorati. La risposta è no. Non possono essere ignorati. Hanno diritto alla continuità affettiva e famigliare che solo l’adozione può garantire, di vedere riconosciuti diritto di cura, di mantenimento, ereditario, e anche di essere messi al riparo nel caso malaugurato di separazione o di morte del genitore biologico. Allora, la cosiddetta stepchild adoption riconosce una situazione familiare già esistente (una coppia può adottare un bambino che è già cresciuto all’interno della famiglia), ma mette al centro il bambino (sta qui la sua importanza fondamentale), i suoi legami, i suoi affetti. Si colloca in questo senso anche l’appello di centinaia di giuristi a favore di questa norma, perché senza avremmo una legge che si occupa solo degli adulti e che volta le spalle al destino dei minori.
C’è chi mette in discussione, signora Presidente, questa adozione parentale con l’argomento della maternità surrogata, ma io penso che sappia bene che è del tutto estraneo a questo provvedimento.
La maternità surrogata è vietata duramente dalla legge italiana e continuerà ad esserlo; deve essere combattuta strenuamente e il primo modo per farlo è riformare l’istituto dell’adozione, renderla accessibile a tanti che oggi non possono accedervi, permettere a tanti bambini, finalmente, di avere una famiglia. Tutte le statistiche dimostrano che la maternità surrogata è una pratica a cui ricorrono, per la quasi totalità, le coppie eterosessuali. Dunque, questo divieto, che noi dobbiamo rimarcare, riguarda tutta la società, non solo il mondo LGBT.
Sul tema della donna, in conclusione, signora Presidente, voglio aggiungere una considerazione. Le parole che hanno caratterizzato la battaglia sul riconoscimento dei diritti per le coppie dello stesso sesso sono molto simili a quelle che per anni hanno segnato le battaglie femminili; sono la contestazione di un ordine patriarcale, la rivendicazione di poter pianificare e gestire la propria vita familiare al di fuori di modelli che altri vogliono imporre, la consapevolezza che il proprio privato deve diventare pubblico per scardinare vecchi modelli di potere. Tutto questo, signora Presidente, noi lo abbiamo sentito riecheggiare con forza in questi giorni.
È vero: vi è un grande cambiamento antropologico che sta attraversando le relazioni tra i sessi, ma penso non si debba necessariamente avere paura di questo. È un’evoluzione dei valori che non contraddice affatto l’umanesimo cristiano, che è radice essenziale della nostra cultura.
Questa riforma, signora Presidente, è spinta dal pensiero della differenza, dell’emancipazione, oggi come quarant’anni fa, come un secolo fa e, io penso, oggi come in futuro. Se saremo in grado di dare riconoscimento politico e veste giuridica a uno spazio familiare nuovo, più inclusivo, avremo consegnato ai nostri figli, a tutti i nostri figli, un Paese che sta dalla loro parte. (Applausi dai Gruppi PD e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE). Congratulazioni).