«I referendum?
Un`iniziativa rivolta al passato invece che al futuro e non realmente discussa dentro al partito. Ma «il vero danno – chiarisce Sandra Zampa, senatrice Pd, prodiana di lungo corso – è quello nei confronti dei nuovi italiani che si è prodotto buttando nel mucchio un tema delicato come la cittadinanza, per esporlo a un no che da oggi sarà difficilissimo da lavare».
Di cosa ha timore, senatrice?
«La destra ora taglierà corto dicendo che gli italiani si sono espressi. Ma così non è. Semplicemente la domanda era fuori contesto e non accompagnata da una informazione corretta». Ne avrete parlato, prima. «Ecco l`altro tasto dolente».
Non ne avete parlato? Nel Pd, si dice, si parla anche troppo.
«Si discuteva, anche molto aspramente, in diretta streaming, fino alla conclusione dei lavori e all`eventuale voto finale. lo faccio parte della direzione nazionale. L`ultima volta ci siamo riuniti per discutere appunto di referendum, abbiamo in realtà parlato di altre cose molto serie come l`Ucraina e Gaza. Alla fine c`è stata una votazione sulla relazione della segretaria, con la minoranza che d`accordo con la maggioranza ha deciso, sbagliando, di non partecipare. Ciò ha permesso di parlare di unità. Invece è unanimismo, che è ben diverso».
È un`accusa alla maggioranza del partito?
«Le colpe sono di tutti, anche della minoranza. Abbiamo smesso di discutere nelle sedi istituzionali. Questo non è il Pd. Chi c`era al momento della sua fondazione ricorda bene cosa fosse o cosa aspirasse ad essere. Un partito nuovo. Il confronto era una costante, dalla base ai vertici. E se momento in cui cominciavi a discutere. Oggi c`è silenzio. Non è un segnale di salute per un partito che si chiama democratico».
Dunque si torna a congresso?
«Un`ipotesi brandita come se fosse lo strumento della resa dei conti. Se è così dico subito che a me non fa paura. Ma per far cosa? Per contarci ancora? E poi magari mettere ai margini chi perde. Questo non è il Pd».
Una bella analisi della sconfitta, allora: è un marchio dem…
«Per analizzare la sconfitta non servono rese dei conti o congressi. Convochiamo subito una direzione e discutiamo della nostra identità e della proposta politica: gli elettori ci hanno dimostrato di non averla capita. Vede, in questo referendum che guardava al passato si è evocato il Pd di Renzi. lo ne ero vicepresidente. Ricordo discussioni furiose. Ma poi accadeva una cosa rivoluzionaria: si alzava la mano e si votava. La democrazia si nutre di questo».
Il centrodestra non discute ma vince, non le pare?
«E dopo due anni e mezzo ha dimostrato di non aver fatto nulla. Cosa hanno cambiato? In cosa è migliorata la vita degli italiani? Si sono uniti per gestire il potere e lo stanno facendo. Al cambiamento dobbiamo pensare noi».
Ma il campo largo è litigioso.
«lo credo con Schlein che l`alternativa a questo governo debba andare da Avs a Calenda e Renzi. Ma chi ha l`onere e l`onore di guidare la coalizione, e noi ci candidiamo a farlo, non può pensare di farlo semplicemente siglando patti elettorali, desistenze nei collegi. Dobbiamo vederci e discutere delle proposte concrete di un nostro governo, costruire un`alternativa chiara e condivisa: casa, salute, lavoro, scuola, partiamo dai temi che interessano le vite concrete delle persone».
L`Ulivo: finiamo sempre lì.
«Quella stagione non penso si possa ripetere. Ma il metodo rimane valido così come l`obiettivo di far partecipare la società alla costruzione di un programma di governo. Se c`è una cosa che mi preoccupa è che quella parte enorme che non partecipa più alla vita del Paese, gli astenuti, non raggiunti dal Pd. Eppure era l`impegno e la sfida dell`attuale segreteria e di Schlein».
Cercherete un federatore?
«Se un federatore esiste dovrà avanzare la sua proposta. Ma può anche darsi che la questione di un nome arrivi per ultima. L`urgenza oggi è creare una piattaforma unitaria. Poi qualcuno la guiderà».