L’ umanità si rimetteva in pace cantando gli inni della libertà; ogni voce, in quel bene ritrovato, sembrò equivalersi. Ora si potevano dimenticare le dispute che ci avevano diviso su come dover vivere la democrazia. Guai, si diceva, se ciò che stava nascendo non avesse corrisposto a ciò per cui era rinato! «Siamo all`avanguardia della fantasia», dichiararono i giovani, e da qualche temerario punto di vista lo furono. Non giovò a nessuno confondere voci e vocii, né credere che il coro fosse tutto stonato; anche se non era incoraggiante la pretesa di interpretare una lettura visionaria della realtà. Un giorno dissero: «Seguiamo la tradizione rivoluzionaria di Groucho, Chico, Harpo e Karl Marx, bisogna fare della rivoluzione un mito spettacolare». Quella singolare ribalderia divenne un gioco che condusse a un altro ghetto ideologico, colmo di eccessi, di riti, di slogan. Nicola Chiaromonte scrisse: «Così, tra l`altro, il pensiero selvaggio rimane selvaggio e quello addomesticato si rafforza nella sua domesticità. Ma il ‘pensiero selvaggio’ era già quell`arrembante quarta cultura, generosa e sconnessa, che pretendeva di aggiungersi – promettendo itinerari non dogmatici, ma disincantati e liberi – ai grandi capilinea cristiano-cattolico, liberale socialista». Il lessico politico, e ancor più l`eredità politicante, ha aggiornato, o sostituito, le nuove appartenenze; tutte con il diritto di cittadinanza purché – nei linguaggi, le modalità e gli eccessi di oggi rispettassero, è solo metafora, la ‘città’.