E’ venne il giorno in cui mi assalì una gran voglia di uscire dal più bello dei mestieri. Quel desiderio di tacere era l`improvviso bisogno di una lontana, dimenticata sobrietà. Chi usa quel microfono tende a risarcire l`ascoltatore della cecità in cui è immerso, e il suo parlare si abbellisce, si arriccia, si crogiola in continuazione; una specie di fenomeno naturale, specie quando, in una diretta, lo studio ti chiede di ‘tenere la linea’, che significa, semplicemente, allungare il brodo. Alla radio ho descritto, chissà con quanta naturale improntitudine, migliaia di situazioni, prendendo per mano l`ascoltatore e portandolo dove volevano le parole, cioè a vedere. Giorgio Manganelli era longanime: «La radio è pudica, come la voce, che può esprimere sofferenza, pietà, sgomento, ma non rendere visibile l`orrore». E Bertolt Brecht, più alla svelta, sosteneva che la parola, qualunque parola, o ha il potere di mostrare o è soltanto suono, vocio, rumore. Un paradossale teatro a occhi chiusi.
Eppure mi consolo pensando che era ancora parlare.

Ne Parlano