Di certo il ricordo di una spendente meteora, perchè ‘l’idealista senza illusioni’ morì troppo presto, il 22 novembre del 1963, a Dallas
Nei tre anni del suo mandato presidenziale, dal gennaio del 1961 al novembre del 1963, con Nikita Kruscev e Giovanni XXIII, John Fitzgerald Kennedy occupa la scena del mondo. La sua idea della politica non ha precedenti: incontra sistematicamente storici e politologi, economisti e sociologi, scienziati e filosofi, scrittori e poeti, persuaso di dover fare della Casa Bianca il luogo dove interpellare e ascoltare, così dichiara, «l`intelligenza che ci serve». Di sé si limita a dire: «Sono un idealista senza illusioni», sollevando nel mondo una grande attesa. Ed ecco la proposta a von Braun (l`ingresso nel cosmo costerà 22 miliardi di dollari) di portarci, in dieci anni, sulla Luna. Il giovane presidente avrà una diversa immagine quando deciderà di voler garantire la futura sicurezza non solo americana opponendosi alla presenza, nella Cuba di Castro, di missili sovietici, minacciando Kruscev con una reazione così ferma da indurlo a recedere dal viaggio delle torpediniere in rada a 3 miglia dall`isola.
Kennedy, che ha tenuto mezzo pianeta con il fiato in gola, ha espresso quella risoluta, responsabile consapevolezza «nel nome della libertà e della pace di tutti»: così risponde a chi gli addebita d`aver fatto una scelta «ad altissimo rischio». Non sarà una presidenza senza gravi problemi: affronterà la perdurante, sanguinosa avventura del Vietnam dando inizio ai rientri in patria alcuni reparti, inimicandosi gran parte dell`imponente, ‘fruttuosa’ macchina militare; non sarà sempre succube dei rigidi sistemi economico-finanziari; trasformerà il rapporto tra l`informazione e il potere, e soprattutto farà sua la voce di Martin Luther King, difensore delle minoranze etniche, cominciando dalla irredimibile, storica condizione dei neri. La lucidità del freddo conservatorismo bostoniano, unita alla durezza dei difensori del razzismo specialmente nel Sud, gli costeranno la vita. Resterà il ricordo di una breve, controversa e splendente meteora americana. Quella figura d`intellettuale, di politico, di statista, fornito di coraggio e altrettanta trasparente esplicitezza, stenterà a ripetersi. E oggi, a cinquant`anni dalla sua fine, una parte del mondo si sentirà – in un ricordo qua e là divenuto, col tempo, quasi mitico – un po` kennediana. Certo non riecheggia ciò che disse a Berlino di fronte all`onta grave del Muro: «Oggi siamo tutti berlinesi». Era una bella frase, di sole quattro parole, che si fece amare in ogni parte della Terra, ma sembrò un grande, inimitabile, ammonitore discorso.

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