La tragedia di Parigi ha risvegliato altri orrori: penso all`eccidio nella chiesa di Marzabotto e alla strage, a New York, delle Torri Gemelle, in nome di due fanatismi; mentre la terza ferocia ha già annunciato la continuazione della sua «guerra». La «città delle luci» ha risposto anche per noi, cantando in mezzo al terrore la Marsigliese. Questa è la grande, risoluta risposta, in nome della libertà e della pace, di fronte alla minaccia di conquistare, sono parole loro, l`Europa. E l`antidoto? È il rifiuto della paura. La reazione civile, democratica, etica della politica sta mobilitando una quantità di Paesi perché si uniscano in una coalizione capace di sgominare, ma a quali prezzi, il Califfato e la sua arma più delirante: l`Is ovvero il Daesh. Va da sé che una iniziativa del genere – pur dettata da un civismo esemplare – tuttavia darebbe luogo a un tale coacervo di sensibilità, esperienze e particolarismi da screditare ogni progetto organizzativo – dei ruoli, delle competenze, delle responsabilità con il risultato di un orgoglio esposto a una naturale, ma rischiosa generosità operativa. Occorrerebbero, semmai, le Nazioni Unite. Una dimensione politicomilitare solo europea e occidentale incentiverebbe la solidarietà tra i nemici aperti e coloro che oggi restano nell`ombra cui, a quel punto, si aggiungerebbe una diffusa e insidiosa solidarietà dell`estremismo islamico, qua e là disseminato. Siamo davanti al seme di una grande pace o di una grande guerra.