Passeranno ventotto anni per rivedere le mani di mio padre che stavolta grattavano dentro le macerie, finché non scoprirono il viso di Merloni Settimia, anni ventitré, maritata e in quel momento forse già vedova, con un figlio così piccolo che non lo trovavano; nella mano aveva ancora un ferro da stiro e in gola, sotto un tappo di calce, l`ultima parola appena soffocata; e dentro gli occhi il riverbero di una tovaglia appena vista, un color blu rimasto nel cavo arso delle pupille. Un soldato tedesco, salito sul cumulo delle macerie, con il mitra intimava ai civili di scavare. Poi, di nuovo la sirena: tre sibili s`impennarono uno dopo l`altro. Tutti, anche il tedesco, scesero dalle rovine e saltando sulle macerie cercavano un androne o un avanzo di tetto, anche solo una trave che stesse sulla testa come un braccio. Il numero dei morti, frattanto, continuava a crescere. Rigarono il cielo le condense di un altro stormo di bombardieri, passati altissimi e presto scomparsi. La gente si cercava ovunque, qualcuno gridava un nome, altri restavano come inebetiti davanti alla casa intatta, e non smettevano di guardarla. Si udivano delle grida che venivano da ogni parte.

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