Quell`anno l`estate era ormai trascorsa senza che nessuno l`avesse vista, la città vuota, e così la spiaggia, solo ogni tanto qualche soldato tedesco faceva il bagno in un mare già imbronciato dai primi temporali. Il vento si calmava verso sera in quel mese silenzioso, inerte, come alle soglie di qualcosa che dovesse accadere. E fu quando la soldataglia infilò nei cappi la vita di tre ragazzi, scalzi e vestiti del poco che bastava all`agosto e alla morte. Chi si affacciò nella piazza, e vide il capestro a tre forche, dovette tornare sui propri passi. La ferocia sarà al culmine quando tre donne luttuose non potranno neppure baciare i piedi già gonfi dei figli. «E il sole» scriverà Guido Nozzoli «portò le croci nelle lacrime azzurre delle madri». Un pianto sempre più lontano, spinto sui colli dal garbino, si perse in quel finale di tutto. La città completamente vuota visse senza fiato il dondolio dei tre partigiani, Rimini respirava nel petto degli assenti, tutto si consumava in quella orrenda gratuità del male. La piazza prenderà il nome dai tre ragazzi tolti alla vita, al loro coraggio, morti con il sole in faccia e gli occhi che bruciavano. Solo un grido, l`evviva alla propria scelta, aveva attraversato il gran vuoto, da Covignano al porto. Dietro le colline cominciava a rosseggiare un tramonto che cadeva lentamente perché la piazza se ne riempisse.

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