Scrivere ogni giorno un pezzo breve, ma che abbia un senso – è una prova di ottimismo che supera ogni prudenza. È come se invitassi te stesso a esprimere, come sai e puoi, ciò che sei. A cinque anni, non credo perché mi reputasse un fenomeno, mio padre stendeva sul tavolo un grande foglio bianco, e un giornale, perché imitando titoli, sottotitoli e sommari, quel curioso impulso mi inoltrasse, partendo da lontano, in ciò che ‘succedeva fuori’; ma poi, quando già adolescente mi avventurai nel mondo della poesia e fu la mamma a dirmi «Vedo che cominci a ‘guardarti dentro’» un po` spaesato cominciai a dividermi in quel singolare sdoppiamento. Spero che padre e madre avessero entrambi capito che avrei dovuto misurarmi con ciò che persino la natura stenta a tollerare. Sicché, non avendo vocazioni multiple, e già dubitando di averne una, mi girava la testa. «È un crocevia psicologico», dirà l`antropologo Alfonso Di Nola «che in età giovane, attardàti nelle proprie solitudini, genera una instabile confidenza con i desideri, e persino con i progetti». Avvezzi a dover vivere di quel poco, si finisce per credere di non averne, ecco la condanna, neppure il diritto. È uno dei dilemmi che investono metaforicamente chiunque deve riempire, ogni giorno, un giornale. Specie in un Paese che, su un altro versante, fece dire a Ennio Flaiano «Tutto ciò che non so l`ho imparato a scuola».