Eravamo ormai gli ‘sfollati’. Da quel giorno ci chiameremo così. In città, solo voltando la testa, vedevamo il massiccio del Titano, cioè San Marino. Fu un esodo che ci vide salire verso i pianori da cui, seduti come a teatro, avremmo assistito alla distruzione di migliaia di case rimaste vuote, pronte a ricevere la loro fine; e noi protetti dalle gallerie del trenino elettrico, che fu una delle più straordinarie prove di solidarietà umana espresse dalla guerra. Non dimenticheremo quel rifugio, le due file ininterrotte di materassi e un camminamento, al centro, che consentiva l`andare e venire; tra i letti, per difendere la privatezza, avevano alzato lenzuoli, coperte, tovaglie, e in quei simulacri di stanze si creava via via un`aria di casa, con le foto di famiglia e dei santi inchiodate alle pareti. Alle tre dopo mezzanotte si celebrava un rito quasi catacombale: nostro padre, con altri volontari, veniva giù dal granaio per distribuire il pane ancora caldo; tutti si sollevavano dai materassi, illuminati appena dalle torce, e si disponevano a ricevere, pareva, l`eucarestia.